Fece scalpore agli inizi di settembre dello scorso anno la dichiarazione del presidente dell’Inps, Tito Boeri, secondo cui i sindacalisti in Italia godrebbero di un trattamento privilegiato riguardo alle loro pensioni. Che si trattasse di una “casta”, come da circa un decennio è aggettivata anche la classe politica italiana, non sembra che ci fossero dubbi, almeno stando al sentire comune. Da alcuni mesi, però, abbiamo anche il sigillo dell’ente previdenziale. Ma davvero i sindacalisti sono “privilegiati” rispetto al resto degli italiani? Vediamo di capirne di più.

E’ stata l’Inps, non un organo politico o di parte, alla fine dell’estate 2005 a segnalare come i sindacati in Italia godano di un trattamento previdenziale di favore rispetto a quello dei lavoratori italiani, perché a parità di regole, essi percepiscono un assegno mensile “gonfiato”, frutto del fatto che oltre a vedersi versati i contributi dall’ente sindacale presso il quale prestano servizio, hanno diritto al versamento anche dei contributi figurativi da parte dell’ente di previdenza al quale risultano iscritti. Inoltre, il sindacato potrebbe versargli su richiesta contributi aggiuntivi, in modo da incrementare l’assegno pensionistico, una volta andati in quiescenza.

Casta sindacati?

Per essere chiari: i sindacati non vanno in pensione prima degli altri, ma quando ci vanno, il loro assegno mensile risulta mediamente del 27% più alto di quello a cui avrebbero diritto, se fossero loro applicate le stesse regole valide per gli altri lavoratori. Ripetiamo, lo dice l’Inps, non sono dati opinabili. Ma tutto ciò com’è possibile? I sindacalisti con funzioni di rappresentanza ed elettive hanno diritto ad usufruire durante il mese di un monte-ore per svolgere la loro attività in favore del sindacato per cui operano. Queste assenze dal lavoro possono essere retribuite (nel quale caso si parla di distacchi) o non retribuite. Nel settore pubblico, molte ore vengono retribuite dalla Pubblica Amministrazione, mentre questi casi sono rari nel settore privato.

[tweet_box design=”box_02″ float=”none”]Sindacati privilegiati e con pensioni d’oro sono casta come politici[/tweet_box]      

Privilegi pensioni sindacati, eccoli

Stando sempre all’Inps, nel 2013 vi sono stati 2.773 lavoratori in aspettativa non retribuita nel settore privato, mentre nel pubblico sono risultati essere 748, a cui si aggiungono 1.045 distacchi (aspettative retribuite). Le ore di aspettativa nel secondo ammonterebbero allo 0,16% del totale e per un costo a carico della collettività di 121 milioni, a cui si aggiungono 67 milioni di contributivi figurativi, che l’istituto di previdenza deve versare anche ai 2.239 dipendenti che ricoprono funzioni pubbliche elettive. In tutto, si tratterebbe (sempre nel settore pubblico) di un esercito, corrispondente a 4.442 dipendenti assunti a tempo pieno solo per aspettative e permessi sindacali. Immaginatevi, che i sindacalisti hanno ancora diritto a legare l’assegno pensionistico all’ultima retribuzione, come avveniva per tutti i dipendenti pubblici fino al 1993. Risultato? Chiedono al sindacato di gonfiare le ultime buste paga, in modo da andare in pensione anche con svariate decine di migliaia di euro al mese. In queste situazioni più estreme, si calcola che l’assegno sarebbe fino al 66% più alto di quello spettante a un lavoratore con pari requisiti.

Contributi sindacati gonfiati per il meccanismo degli scatti automatici di carriera

Un caso eclatante può essere inteso quello dell’ex segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, che in appena 5 anni si è visto più che raddoppiare l’emolumento da 115 a 336 mila euro. Non è finita: la legge 300/70 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che un sindacalista non solo ha il diritto di vedersi versati i contributi sullo stipendio che avrebbe percepito, se avesse continuato a lavorare alle dipendenze dell’impresa o dell’ente pubblico, ma che gli siano riconosciuti anche tutti gli scatti di carriera.

Per essere più chiari: se quando ho deciso di votarmi alla causa dei lavoratori ero un semplice magazziniere, ho diritto negli anni a vedermi calcolati i contributi dal vecchio datore di lavoro, come se nel frattempo avessi fatto carriera, diventando magari capo reparto.      

Dalla legge Mosca a Treu, 40 anni di super-diritti

E poiché i privilegi (ops, i diritti) non bastano mai, nel 1996 ci ha pensato la legge Treu a consentire al distaccato di usufruire di un assegno pensionistico più elevato, nel caso in cui abbia versato autonomamente contributi aggiuntivi o lo abbia fatto per lui il sindacato per cui lavora. Il peccato originale ebbe luogo nel 1974, ad opera del deputato socialista ed ex dirigente Cgil, Giovanni Mosca, che diede vita a una legge omonima, la quale si poneva l’intento di sanare alcune situazioni in capo ai principali partiti politici e al sindacato, ma che con gli anni è finita a riguardare oltre 35.500 persone. Queste ebbero la possibilità di ottenere con una semplice dichiarazione scritta del datore di lavoro il riconoscimento di contributi mai versati, versandone una percentuale ridicola, in modo da ottenere il diritto alla pensione. Di questa sanatoria beneficiarono personaggi illustri della Repubblica, tra cui l’ex presidente Giorgio Napolitano. Tutto legale, eh!

Sindacati difendono le norme attuali

Si calcola che questi benefici costino ogni anno al contribuente italiano 500 milioni di euro e fino ad oggi abbiano gravato sull’Inps per 12,5 miliardi. Ma il mondo sindacale si difende e contrattacca: non si tratterebbe di privilegi, bensì del riconoscimento della loro funzione sociale. In poche parole, spiegano che tali norme consentirebbe ai loro dirigenti di occuparsi dei lavoratori, senza preoccuparsi di quanto avrebbero perso in termini di carriera e di trattamento pensionistico, nel caso fossero rimasti al lavoro. Privilegi o diritti, una cosa è certa: giovani italiani, smettetela di andare all’estero. L’America è in Italia, si chiama sindacalismo e resiste al mondo globalizzato. Roba che un film di Checco Zalone ci farebbe un baffo.