La terza Grosse Koalition a sostegno della cancelliera Angela Merkel è nata da tre settimane, al termine di quasi sei mesi di stallo politico e dopo tre di incessanti trattative tra conservatori e socialdemocratici per abbozzare un qualche programma minimo di governo. L’aria a Berlino, però, è tutt’altro che di sollievo. A preoccupare sono essenzialmente tre dinamiche: l’ascesa della destra euro-scettica in Germania, che incalzerebbe nei sondaggi gli stessi socialdemocratici per la seconda posizione tra i partiti; la vittoria dei “populisti” di Movimento 5 Stelle e Lega alle elezioni italiane e la nascita attesa di un governo a Roma di impronta euro-scettica; i propositi di riforma avanzati dal presidente francese Emmanuel Macron, che vanno nella direzione di una maggiore condivisione dei rischi sovrani e bancari.

Reality check sull’uscita dall’euro

Non è il mondo che avevano immaginato i tedeschi, che in poco tempo hanno dovuto subire persino la Brexit e la vittoria di Donald Trump negli USA, con quest’ultimo ad essere ora passato dalle parole ai fatti sulla politica commerciale, alzando i dazi contro la Cina e minacciandoli contro l’Europa e, in particolare, i beni esportati dalla Germania, come le auto. Le istituzioni comunitarie, modellate secondo la loro visione tra gli anni Ottanta e Novanta, si stanno disgregando sotto i loro occhi. Il colpo finale lo darebbe tra un anno l’eventuale avanzata dei movimenti anti-UE alle elezioni europee. Non rassicura nemmeno che per salvare la UE e l’euro, la Francia spinga per mettere insieme i rischi derivanti dai debiti e dalle banche nazionali. Non è per questo che la Germania volle fortemente la moneta unica.

Piano B della Germania: possibile uscire dall’euro

E allora, illustri economisti vicini alla cancelliera Merkel stanno facendo pressione, affinché il governo federale prenda in considerazione l’ipotesi di un piano B: consentire a qualunque stato lo volesse di uscire dall’Eurozona.

Ad oggi, nessuna previsione esiste sul tema, tanto che il governatore della BCE, Mario Draghi, ha potuto affermare a più riprese che l’euro sia “irrevocabile”. In realtà, esisterebbe legalmente un modo per abbandonare l’unione monetaria, com’è parso evidente anche nei mesi caldi della temuta Grexit, ovvero l’uscita dalla UE secondo l’art.50 del Trattato di Lisbona, lo stesso attivato da Londra per dare seguito alla Brexit. I tedeschi sostengono che l’abbandono del mercato unico servirebbe anche come disincentivo ad azioni opportunistiche, cioè ad evitare che qualche governo ipotizzi di lasciare l’euro per tornare alla vecchia moneta nazionale a fini di svalutazione competitiva.

Hans-Werner Sinn è a capo dell’Ifo, il think-tank economico conservatore, che crea la cornice ideologica all’interno della quale s’inquadra il dibattito nel centro-destra teutonico. Potremmo considerarlo una sorta di pasdaran dei valori conservatori e dalla sua ha l’autorevolezza e la stima praticamente di tutta la CDU-CSU e non solo. Cosa ha chiesto di recente alla cancelliera? Di presentare una proposta di riforma a Bruxelles, con la quale consentire che chiunque voglia uscire dall’euro possa farlo. Una clausola di revocabilità, dunque, per l’Eurexit. Attenzione, però, perché a suo corredo, l’economista ritiene che lo stato fuoriuscito debba anche, magari non subito, pagare i saldi a debito del Target 2.

A questo punto, apriamo un tema apparentemente poco chiaro, ma che cercheremo di rendere quanto più agevole possibile. Quando un’impresa italiana compra prodotti da un’impresa tedesca, essa spedisce il denaro con un bonifico dalla propria banca a quella tedesca su cui si appoggia l’impresa fornitrice e transitando tramite la Bundesbank. Sul piano contabile, tuttavia, a quest’ultima la Banca d’Italia non invia alcunché, limitandosi ad annotare un debito.

Lo stesso accade, a parti inverse, quando a comprare un bene, un servizio o un titolo finanziario italiano sia un tedesco.

Italia fuori dall’euro, l’inevitabile conclusione della Germania

La divergenza crescente tra Germania e Italia

Qual è il problema? Al 28 febbraio scorso, la Bundesbank ha accumulato un saldo a credito record verso il resto dell’Eurozona di 914 miliardi di euro e l’Italia uno a debito di 444 miliardi. Queste cifre segnalano che la Germania sia una potenza economica esportatrice, mentre l’Italia registra importazioni nette crescenti. Sappiamo, infatti, che i tedeschi esportano beni e servizi a pieno ritmo, al contempo attirando capitali dall’estero. La bilancia commerciale è assai positiva anche per l’Italia, la quale deve, però, fare i conti con i deflussi di capitali, per cui dai saldi Target 2 si evince che, almeno verso il resto dell’Eurozona, le nostre partite correnti viaggiano in profondo rosso.

Fino a quando Germania e Italia, tanto per citare due paesi a caso, resteranno entrambi nell’Eurozona, nessun problema. Bankitalia e Bundesbank appartengono allo stesso sistema delle banche centrali della BCE, per cui i rapporti di debito e credito restano formali. Il problema si porrebbe con l’uscita dall’euro di uno dei due: i tedeschi avrebbero il diritto di reclamare i 914 miliardi di crediti vantati nei confronti degli attuali partner dell’area, mentre noi italiani dovremmo pagare i 444 miliardi di debiti contratti con le altre banche centrali, sempre dell’Eurozona. Le cifre in gioco sono così elevate – rispettivamente quasi un terzo del pil tedesco e il 30% di quello italiano – che nei fatti l’abbandono dell’euro di uno degli stati membri equivarrebbe a mettere in ginocchio tutto l’attuale sistema su cui poggia l’unione monetaria.

Italia fuori dall’euro? Ecco come e cosa accadrebbe con il ritorno alla lira

I rischi di una clausola Eurexit

Reclamando una clausola per l’Eurexit e il saldo immediato dei debiti/crediti, come del resto un anno fa aveva chiarito lo stesso governatore Mario Draghi rispondendo a una domanda di europarlamentari, la Germania segnala essenzialmente due cose: che vuole dotarsi di un piano B con cui rendere credibile la minaccia di uscire dall’euro nel caso in cui l’area si trasformasse in un’unione di rischi e debiti e in un’accozzaglia di governi fiscalmente irresponsabili ed euro-scettici; intende stanare quei governi, a partire dal prossimo in Italia, che parlano di uscire dall’euro, ma ben consapevoli ad oggi quanto l’inesistenza persino di un meccanismo previsto allo scopo renda tali parole pura propaganda a fini interni, insomma un’arma spuntata.

Viste così le cose, il possibile cambio di linea in Germania dovrebbe allarmare per primo proprio Macron, perché sarebbe costretto a tirare molto meno la corda in futuro sulle riforme dell’Eurozona, rischiando altrimenti di ritrovarsi una Berlino in fuga dall’unione monetaria, avendo dalla sua quasi un trilione di euro di crediti, non posizioni debitorie; denaro, che dovrebbero pagare i partner europei, francesi compresi, nei tempi e nei modi che si stabilirebbero.

Può la Germania permettersi una clausola di previsione dell’Eurexit? I rischi appaiono elevati: sul piano interno, metterebbe le ali alla destra euro-scettica, visto che gli elettori tedeschi si convincerebbero che davvero sarebbe possibile una rottura dell’Eurozona. I mercati finanziari la prenderebbero male e colpirebbero i titoli di stato delle economie più deboli e a rischio d’uscita dall’euro, facendo salire gli spread e di fatto facendoci tornare al periodo drammatico della crisi dei debiti sovrani del 2011-’12. Infine, gli stessi euro-scettici all’estero avrebbero modo di persuadere più elettori di oggi dell’esistenza di una via reale per tornare alle monete nazionali. Sarebbe l’inizio della fine dell’euro, ma con l’eventuale arrivo di un tedesco alla guida della Bundesbank dopo Draghi, lo scenario prenderebbe davvero forma, ponendo fine alla strategia dell’irrevocabilità dell’euro sin qui perseguita dall’italiano.

Germania, sondaggi allarmanti per Grosse Koalition: volano euro-scettici, crollano Merkel e sinistra

[email protected]