Matteo Renzi non si ricandiderà alle primarie del Partito Democratico per l’elezione del nuovo segretario. “Credo di avere già dato”, ha detto l’ex premier e segretario dimissionario in un’intervista con Barbara Palombelli. In effetti, sarebbe stata la sua quarta corsa alla guida del partito in poco più di 6 anni. La prima volta nel 2012 gli andò male, perdendo contro Pierluigi Bersani, mentre la seconda (2013) e la terza (2017) sono state per lui un trionfo. Egli ha aggiunto che non è detto che appoggerà necessariamente la candidatura di Nicola Zingaretti, il governatore del Lazio.

Qualcuno al Nazareno tirerà più di un sospiro di sollievo. Renzi è stato per l’area post-comunista del PD una maledizione vivente, percepito quasi come un Berlusconi in casa, un nemico interno che avrebbe distrutto la sinistra italiana, deprivandola del suo bagaglio culturale e di un’azione di governo coerente. Tuttavia, nei giorni in cui il PD ottenne il 40,8% alle elezioni europee, le voci critiche dentro al partito quasi non esistettero, mentre il 5 marzo scorso tutti si scoprirono anti-renziani all’insegna del “lo avevamo detto”.

Il PD vuole cambiare nome per non farsi riconoscere

Facile dire che Renzi avrebbe distrutto la sinistra in Italia. Chi lo afferma o è in evidente malafede o non conosce la sua stessa storia. Anzitutto, perché il “benchmark” con cui confrontare il 19% ottenuto dal PD alle ultime elezioni non è certo il quasi 41% delle europee del 2014, quanto il 25,5% delle politiche di 5 anni fa, quando il candidato premier fu il “buon” Bersani. Già allora il centro-sinistra mostrò la sua irrilevanza elettorale, nonostante beneficiò di un assurdo premio di maggioranza (ringrazi il “nemico” Berlusconi) e si catapultò alla guida dell’Italia come se disponesse di consensi bulgari, disconnettendosi ulteriormente dalla realtà.

Se, però, non era stato capace di vincere davvero (prevalse sul centro-destra per lo 0,4%) dopo la drammatica fine del governo Berlusconi, qualche allarme sarebbe dovuto scattare al Nazareno.

Invece, il capro espiatorio fu trovato solo qualche anno dopo nella persona di Renzi, il quale avrebbe snaturato il PD, cambiandone l’identità, il dna. Già, ma di quale cromosoma staremmo parlando? Forse, il PD che appoggiò il governo Monti e avallò la legge Fornero fu di sinistra? O quello che persino nel 1995 complottò per abbattere il governo Berlusconi per sostenere Lamberto Dini a Palazzo Chigi insieme alla Lega e riformare le pensioni ebbe a mostrarsi social-ista? O ancora prima nel 1993, quando l’allora PDS appoggiò il primo governo dei tecnocrati guidato da Carlo Azeglio Ciampi?

Le origini della morte della sinistra

La morte della sinistra italiana ha coinciso con la nascita della Seconda Repubblica, quando gli ex comunisti ebbero finalmente modo di arrivare al governo, potendo trasformare in azioni gli slogan recitati a memoria nel mezzo secolo precedente. Invece, che succede? Al nemico di classe sostituisce la figura di Silvio Berlusconi, alla lotta per i lavoratori il sostegno incondizionato ai giudici che indagavano sui suoi avversari/nemici politici, all’ideale socialista la costruzione dell’Europa dei commissari. L’ideologia “globalista” viene abbracciata, invece, molto di recente, diremmo con la caduta dell’ultimo governo Berlusconi, quando il PD si convince che i mercati finanziari punterebbero su di esso. Da lì, la peculiarità ancora teoricamente visibile dei post-comunisti si sgretola nel trascorrere di un attimo. Quelli che un tempo furono lettori assidui del “Il Capitale” di Marx s’intendono di spread, mercati aperti e propugnano le frontiere aperte sia sul fronte commerciale che con riferimento agli immigrati. L’ideologia socialista viene definitivamente accantonata per la più trendy mondialista.

La frittata del PD sull’allarme razzismo contro Salvini, un uovo travolge il Nazareno

Per quale motivo un lavoratore dovrebbe essere favorevole all’ingresso indiscriminato di immigrati, quando ciò significa per lui accentuata concorrenza sul piano delle condizioni contrattuali e compressione del salario? Per quale ragione dovrebbe lodare Bruxelles, se l’Europa dei commissari rappresenta oggi proprio la negazione delle ricette economiche di stampo keynesiano, che la sinistra in tutto il Continente ancora in teoria sostiene? E perché mai dovrebbe votare per un partito garante dei poteri finanziari, che sono gli stessi che invocano lo smantellamento delle tutele sociali per rendere l’economia italiana più “competitiva”? Attenzione, non stiamo esprimendo un giudizio di merito con queste domande retoriche, quanto sottolineando come siano venute meno le ragioni per le quali un elettore della classe medio-bassa in Italia (vale anche per il resto dell’Occidente) dovrebbe votare a sinistra.

Il PD ha confuso il sostegno quasi plebiscitario di cui gode tra le élite finanziarie con quello popolare, la benevolenza della grande stampa con gli umori dei cittadini comuni, finendo per rinchiudersi in un bunker di potere per tacciare di “populismo” persino quanti si siano nel frattempo fatti carico delle sue stesse istanze storiche. E che i dem non siano proprio in grado di ripartire lo dimostrano anche i suoi tentativi di aggrapparsi all’ultimo appiglio europeo per darsi una qualche caratterizzazione anti-populista: Macron. Come fa un partito che possa definirsi di sinistra anche solo ipotizzare di allearsi alle europee con l'”assassino” politico della gauche in Francia? Come fa ad arrivare a lodare come fosse un proprio esponente il da poco scomparso John McCain, che in vita ha impersonificato quella che un tempo la sinistra stessa avrebbe definito “la destra liberista guerrafondaia”? E, soprattutto, come fa il PD a mostrarsi vicina a quel Macron, che sta agendo in Europa, pure con Paolo Gentiloni premier, da tutore di un assetto relazionale e finanziario anti-italiano? Si veda il caso Stx-Fincantieri, primo atto politico di rilievo della sua presidenza.

La percezione di un PD “anti-italiano”

Il PD soffre di semplificazione concettuale.

Tutto ciò che è nemico del suo nemico diventa suo amico, quand’anche propugni logiche antitetiche alle sue istanze storiche. Macron è un europeista anti-salviniano? E allora diventa il migliore alleato del Nazareno. Dimentica il PD che la difesa degli interessi delle classi meno abbienti – sempre che questo sia rimasto tra i suoi obiettivi almeno teorici – passa oggigiorno per la capacità di farsi carico delle istanze nazionali nella più ampia sfera globale. Certo, non battendo i pugni e immaginando che i partner si calino le braghe per paura dei nostri alti decibel, ma costruendo un’azione autonoma di governo, una visione “italiana” con cui presentarsi al tavolo delle trattative a Bruxelles e nelle altre sedi decisionali per cercare di ottenere il massimo possibile. Non è aderendo passivamente ai piani interessati degli altri leader stranieri che si potranno mai tutelare gli interessi di questa o quella classe sociale.

Un esempio? Il “bail-in”. Teoricamente, una direttiva del tutto ineccepibile sui salvataggi bancari, nei fatti ha privato l’Italia della flessibilità necessaria per affrontare i suoi dossier, quando tutti gli altri stati negli anni precedenti intervennero con centinaia di miliardi di euro pubblici per evitare il crac dei loro istituti. Avremmo dovuto chiedere e ottenere un’applicazione graduale e non retroattiva della direttiva, mentre il governo Letta aderì senza titubanze per mostrarsi quanto più euro-entusiasta possibile. Alla fine, a pagare è stato lo stesso PD, che ha mal gestito la crisi bancaria italiana e si è scontrato con gli interessi di decine di migliaia di piccoli investitori, che dal tramonto all’alba si sono ritrovati con capitali azzerati. Ma quel che rimane di questa sinistra è ben lungi dall’avere appreso la lezione e continua imperterrita nei suoi errori, sciorinando un europeismo di maniera, che adesso assume mostruosamente persino i tratti del tifo anti-italiano. Stare con Bruxelles contro Roma su temi come migranti e Libia sta ponendo il PD nel mirino di un sentimento di ostilità diffuso e trasversale ai vecchi schieramenti politici di quanti non ne possono più di un partito mai percepito come schierato con gli italiani, anche quando ci ritroviamo con le truppe straniere in casa.

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