La politica è l’arte del conformarsi ai tempi. La Lega era Nord fino a qualche anno addietro, gridava contro “Roma ladrona” e inveiva contro i “napoletani colerosi”. Oggi si è trasformata in un movimento nazional-ista, il più a destra che ci sia nell’arena parlamentare italiana e Matteo Salvini ha tenuto la sua prima uscita da ministro dell’Interno a Catania, non certo in pianura Padana, accolto da un bagno di folla. Può capitare, quindi, che persino il PD del Jobs Act, del libero mercato contro gli isterismi del populismo euro-scettico viri a 180 gradi con la nascita del governo giallo-verde, temendo di finire nel dimenticatoio della sinistra, soppiantato dal Movimento 5 Stelle, la cui piattaforma programmatica appare più socialmente orientata a rappresentativa di quei ceti popolari dimenticati da troppi anni dai democratici, quelli che il 4 marzo hanno rastrellato pochi voti e concentrati tra i redditi medio-alti dei ceti socialmente più garantiti e che al contempo hanno raccolto i minori consensi tra operai e impiegati.

PD verso lo scioglimento, Renzi distruggerà due partiti e a godere saranno i populisti euro-scettici

Sin qui, nulla di clamoroso. Lo abbiamo detto, la politica è anche cambiare idea e adeguarsi agli umori della società. C’è, però, un limite anche alle capriole intellettuali, superato piuttosto evidentemente da alcuni tweet del Nazareno. Anzitutto, in alcuni di essi il segretario reggente Maurizio Martina pone l’accento sul salario minimo, che egli quantifica in 1.000 euro netti al mese per un contratto full-time. Già in campagna elettorale l’ex segretario Matteo Renzi aveva avanzato la proposta di un salario minimo di 10 euro l’ora, cercando di riacquistare il consenso perduto alla sua sinistra.

Ma il PD supera sé stesso con un tweet di giovedì scorso, laddove promette opposizione al governo “più a destra dal 1948” in Italia e al suo “liberismo”, “al razzismo, all’arroganza”.

Fermi un attimo. Qui, abbiamo due novità clamorose: la prima sta nel fatto che il PD anti-populista sarebbe diventato anche contrario al liberismo economico. La seconda forse sarebbe persino più sconvolgente, ossia il tentativo dei dirigenti dem di tacciare il governo di Lega e 5 Stelle come liberista. Ora, che si tratti forse del governo più a destra nella storia repubblicana passa, ma che esso sia anche d’impronta fortemente liberale in economia, quando i mercati e la UE sono spaventati del contrario sembra ridicolo anche solo pensarlo.

L’opposizione del PD al liberismo è ridicola

Se le parole hanno un senso, per liberismo s’intende una piattaforma politica che va nel senso di rendere minimo il peso dello stato in economia, restringendolo all’erogazione dei servizi essenziali e privatizzando tutto il resto. L’intervento dello stato da parte di un governo liberista sarebbe nullo o ridotto all’osso. Qui, invece, abbiamo due forze politiche che vorrebbero ri-nazionalizzare Alitalia e MPS, utilizzare la Cassa depositi e prestiti come una nuova Iri, rendere più flessibile l’uscita dal lavoro, nonché espandere la spesa pubblica e smantellare il Jobs Act nella parte in cui esso creerebbe “precarietà del lavoro”. Il PD si è battuto nei suoi anni di governo dalla fine del 2011 con Mario Monti e fino a Paolo Gentiloni premier per inasprire i criteri di accesso alla pensione con la legge Fornero, per privatizzare assets non strategici (a parole), per liberalizzare il mercato del lavoro con la cancellazione parziale dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori e in difesa del libero commercio internazionale.

Perché i populisti al governo segnerebbero la fine del PD

Si sono sprecati fiumi di parole per descrivere questo spostamento “a destra” del PD, specie con il corso renziano. La novità sta nella espressa intenzione dei suoi dirigenti di riaccreditarsi a sinistra proiettando sul governo appena nato una qualità che è loro propria e che non appartiene né a questa Lega, né tanto meno al mondo grillino.

Se così sperassero di recuperare almeno parte dei consensi perduti, si sbagliano grossolanamente. Non è con un’operazione di depistaggio mediatico che quel che resta del centro-sinistra potrà sperare di rinvigorirsi elettoralmente. Serve ricostruire un’identità in linea con gli interessi delle classi sociali meno abbienti, che tipicamente la sinistra dovrebbe essere in grado di rappresentare nelle istanze e nelle ambizioni. Non sarebbe un compito semplice, data la crisi esistenziale della sinistra in tutto il mondo occidentale, come segnalano i suoi consensi praticamente in caduta ovunque.

L’opposizione al liberismo annunciata su Twitter non segna una svolta, quanto il patetico tentativo del Nazareno di utilizzare il linguaggio di un mondo andato smarrito alle urne e che ha optato ormai ampiamente per offerte politiche alternative. Il PD dimentica che il fattore credibilità in politica non è secondario. Così come Forza Italia poco può ormai per attrarre a sé i delusi di una rivoluzione liberale tanto promessa e mai nemmeno iniziata, nemmeno i dem appaiono così allettanti per quanti a sinistra hanno da tempo smontato le tende, in cerca di sigle e leader in grado di meglio captarne gli interessi. Non basterà un tweet dai toni socialisteggianti per trasformare i renziani e i loro colleghi pseudo-avversari di partito in riscoperti togliattiani della prima ora. Va bene tutto, ma fare e disfare il Pantheon a piacimento rischia di passare per operazione carnescialesca. Fino a pochi giorni fa, solo il PD si mostrava pronto a sostenere il governo di Carlo Cottarelli, uomo del Fondo Monetario Internazionale e della “spending review”, non proprio l’identikit di un leader anti-liberista. E sempre il PD viene percepito dai mercati e dalla UE quale il più strenuo sostenitore delle politiche di austerità fiscale. Con questo Nazareno, non sarà il PD a impensierire granché il governo giallo-verde.

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