L’inizio scoppiettante sul palcoscenico europeo del governo Conte non è stato perfettamente in linea con le previsioni della vigilia. Ci si aspettava un asse franco-tedesco contro Roma, mentre ad oggi è andata molto diversamente. La politica dura contro gli sbarchi dei migranti del vice-premier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha quasi provocato la crisi del governo tedesco, rientrata in extremis solo per evitare che la Germania si precipitasse ad elezioni anticipate con una sconfitta annunciata per i due schieramenti politici tradizionali.

Ma, soprattutto, mentre la cancelliera Angela Merkel ha indossato i panni del pompiere e ha cercato di mediare tra le ragioni italiane e quelle dell’alleato francese, è stata proprio la Francia di Emmanuel Macron a inveire quasi quotidianamente contro il nuovo corso nel Bel Paese, arrivando a tacciare la nuova maggioranza di governo come “lebbrosa”.

E a Roma si è ben compreso la portata di quanto stia accadendo sul piano internazionale. Da Salvini non sono partite bordate contro Berlino, bensì quasi esclusivamente contro Parigi. Domani, incontrerà il collega tedesco Horst Seehofer, che ha sposato anch’egli la linea dura sui migranti ed è arrivato a un passo dalle dimissioni, in polemica contro la Merkel. Incontrando il vice-premier libico, la settimana scorsa, il leader leghista ha dichiarato che con Seehofer si aspetta “di andare d’amore e d’accordo”. Parole non a caso, perché la tanto vituperata Germania appare per l’Italia un alleato ben più prezioso di quanto non immaginiamo.

L’Europa è oggi sotto attacco da est e ovest, ovvero dalla Russia di Vladimir Putin e dall’America di Donald Trump. Entrambi i leader hanno interesse a ché la UE si disintegri per ragioni rispettivamente geopolitiche e commerciali. Nel mirino di Trump vi sono esplicitamente le esportazioni tedesche, giudicate eccessive e frutto della distorto tasso di cambio debole di cui gode la Germania con l’euro.

Ed ecco che la minaccia dei dazi contro le auto europee sta creando scompiglio e paura in tutto il Vecchio Continente e, in particolare, proprio in Germania, dove si teme che una guerra commerciale scatenata dall’innalzamento delle tariffe metta a rischio il modello economico teutonico.

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La Francia importa, Germania e Italia esportano

L’Italia non è la Germania, ma ci somiglia. Come i tedeschi, anche noi siamo un popolo di esportatori, benché se ne dica sulla fragile competitività delle nostre imprese. Negli ultimi tre anni, abbiamo chiuso con un saldo attivo della bilancia commerciale nell’ordine del 3% del pil, che non è il 7,5-8% tedesco, ma pur sempre di bilancio positivo si tratta e appare tanto più confortante, quanto più leggiamo i dati di altre economie concorrenti, come quella francese. Parigi ha un problema cronico di bilancia commerciale in passivo. L’ultima volta che ha chiuso in attivo è stata quasi un quindicennio fa. Dunque, i francesi sono importatori netti, ossia consumatori di beni e servizi prodotti nel resto del mondo.

E’ chiaro che l’interesse di chi esporta non coincida sempre perfettamente con quello di chi importa. Berlino ha come obiettivo principale oggi di tutelarsi i mercati di sbocco, ovvero l’accesso ai consumatori americani, canadesi, cinesi, inglesi, etc. Parigi, che pure sotto Macron punta a rilanciare la competitività delle imprese francesi, può permettersi un confronto più acceso con i partner europei e del resto del mondo, non fosse altro per il fatto che sono questi a vendere in Francia e non viceversa. I dati parlano chiaro: nel 2017, la Germania ha esportato negli USA quasi 53 miliardi di dollari netti, l’Italia sui 25,5 e la Francia ha registrato importazioni nette per 3,5 miliardi.

E verso la Cina, tutte e tre le economie hanno continuato a chiudere in rosso, ma con la Francia a -33,5 miliardi, la Germania a -30 e l’Italia a -17,5. In rapporto al pil, il passivo francese nella seconda economia mondiale vale un terzo in più di quello tedesco.

Guardando ai dati sull’import-export delle tre economie verso i primi rispettivi 5 mercati di sbocco extra-UE (incluso il Regno Unito, ormai in fase Brexit), troviamo che la Francia segna un rosso di 22,5 miliardi, l’Italia un attivo di 32 e la Germania di ben 101,2 miliardi. In altre parole, i principali partner commerciali non europei sono consumatori netti per le imprese italiane e tedesche, esportatori netti per i consumatori francesi. Che cosa ci suggeriscono questi dati? L’Italia e la Germania sono avvantaggiate dalla globalizzazione, la Francia non riesce ad approfittarne, a causa di un modello economico fondato sulla domanda interna, a sua volta sostenuta da una spesa pubblica ancora al 56-57% del pil, che non ha eguali tra le altre grandi economie avanzate.

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Gli interessi comuni tra Italia e Germania

Macron vuole evitare una guerra dei dazi tra Europa e USA, per cui non possiamo accusarlo di attentare ai nostri interessi con una politica commerciale protezionistica. Tuttavia, il dato che rileva è il suo diverso approccio agli eventi rispetto a quello spesso più pragmatico della Germania. Prendiamo la Brexit: Parigi invoca la linea dura verso Londra, Berlino si mostra moderata, dovendo difendere un avanzo commerciale di oltre 4 volte superiore rispetto alla prima nel Regno Unito. Macron vorrebbe “francesizzare” l’Europa, consapevole che solo rendendo meno competitive le altre economie UE accelererebbe la ripresa dell’export nazionale. Come? Adottando una maggiore integrazione politica, che nella pratica si traduce in bilancio comune e ministro delle Finanze unico nell’Eurozona e sui quali i francesi agirebbero per favorire politiche fiscali più espansive, l’esatto opposto di quanto preteso dai tedeschi.

Vorrebbe anche imporre un’unica aliquota sulle imprese, così da evitare che la bassa tassazione di economie come l’Irlanda faccia concorrenza al business francese. Insomma, vorrebbe imbrigliare l’economia europea con regole e politiche più consone allo stile e al modello economico d’Oltralpe, il quale non riesce a riformarsi per via delle incrostazioni sociali plurisecolari, difficili da smantellare con ricette neo-liberali dallo scarso gradimento popolare.

Per questo, all’Italia converrà sempre più schierarsi con la Germania nei consessi internazionali, quando da difendere ci sarà il modello economico fondato sul libero commercio. I nostri problemi non sono dettati dalla globalizzazione tout court, bensì dalla cattiva gestione della nostra economia, che pur inefficiente riesce a piazzare il Made in Italy sui mercati esteri e nonostante l’euro, volendo sposare la tesi sovranista. Una guerra dei dazi ci farebbe semplicemente danni, così come una Brexit mal gestita e un innalzamento progressivo delle barriere non tariffarie tra grandi potenze. Populisti euro-scettici o meno, il premier Conte si troverà ad andare d’accordo con la cancelliera Merkel più di quanto non creda egli stesso. In fondo, in Europa siamo una seconda Germania, pur molto più inefficiente.

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