Non è andata proprio giù a molti stessi follower di Chiara Ferragni la vendita dell’acqua Evian con la sua firma per una Limited Edition a 8 euro per ogni bottiglietta di vetro da 75 cl. Online è possibile acquistare confezioni da 12 per la cifra di 72,50 euro, praticamente “solo” 6 euro a bottiglia. Ma il popolo del web è imbufalito e i commenti contro l’iniziativa si sprecano e la stragrande maggioranza vanno nella direzione dello scherno, se non delle offese vere e proprie contro i responsabili.

E la vicenda si è fatta seria, se è vero che Codacons ha presentato un esposto alla Guardia di Finanza per chiedere che la vendita a questi prezzi dell’acqua venga vietata, rifacendosi alla legge n.231 del 2005, che prevede il contrasto ai ricarichi eccessivi sui prezzi nel settore alimentare. Il presidente Carlo Rienzi definisce “immorale e illegittimo” vendere l’acqua Evian a simili prezzi. Gli fa eco la deputata Federica Daga del Movimento 5 Stelle, una delle firmatarie per ricondurre la gestione dell’acqua esclusivamente sotto il controllo dello stato. “Sull’acqua non si fa profitto”, spiega l’onorevole.

Scontrino da 43 euro per 2 caffè e 2 bottigliette d’acqua

L’anomalia degli attacchi sta nella tempistica. La partnership tra Evian e Chiara Ferragni fu annunciata oltre un anno fa, ma solo negli ultimi giorni si è scatenata quella che Fedez, il neo-marito “grillino” della giovane influencer, ha definito una “caccia alle streghe” ai danni di quest’ultima. Il rapper ci scherza su e posta la foto di una banana griffata con il nome della moglie e vendibile a 25 euro, dopo essere stata ricoperta di stelline in 10 minuti. Il ragazzo aveva polemizzato con un’altra “vip”, tale Daniela Martani, già dipendente Alitalia e sindacalista, nota perlopiù per la sua (sfortunata) partecipazione al Grande Fratello nel 2008. La donna ha ironizzato sulla vicenda, consigliando alla Ferragni di trasferirsi con una navicella su Plutone e notando come Fedez si sarebbe trasformato da “rapper di grido a ragazzo della borghesia”.

Il diretto interessato non le manda a dire alla “rivoluzionaria del GF”.

Ma torniamo sul caso. Vendere una bottiglietta d’acqua di vetro a 8 euro, in quanto griffata, è legittimo? La legge del 2005 a cui si rifà Codacons per l’esposto recita così all’art.2, comma 1, lett. a): “la Guardia di finanza e l’Agenzia delle entrate, sulla base delle direttive impartite dal Ministro dell’economia e delle finanze, avvalendosi anche dei dati ed elementi in possesso degli osservatori dei prezzi del Ministero delle politiche agricole e forestali e del Ministero delle attività produttive, effettuano controlli mirati a rilevare i prezzi lungo le filiere produttive agroalimentari in cui si sono manifestati, o sono in atto, andamenti anomali dei prezzi”. 

L’acqua a 8 euro si può vendere?

Sembrerebbe che, in effetti, i prezzi dei beni nel settore agroalimentari siano sottoposti a potenziale monitoraggio per valutarne l’andamento ed evitare distorsioni ai danni del consumatore. Ora, l’acqua rientrerebbe a rigore di logica tra i prodotti oggetto del suddetto comma, ma sarà ben più difficile per l’associazione dei consumatori ottenerne il divieto di vendita ai prezzi fissati da Evian. Trattasi, infatti, di un’iniziativa non capace di per sé di provocare un’alterazione dei prezzi di listino della concorrenza, in quanto s’inquadra all’interno di una nicchia di mercato ben specifica. In sostanza, le altre centinaia di marche presenti sul mercato nazionale non inizieranno di certo ad aumentare il prezzo per le loro bottiglie, a causa dell’acqua griffata della Ferragni. Tant’è vero che non abbiamo notato alcuna variazione in tal senso nell’ultimo anno, ossia da quando Evian ha stretto l’intesa con l’influencer.

Anzi, va precisato un altro elemento essenziale ai fini della discussione: Evian imponeva questi prezzi ben prima dell’accordo con la Ferragni e mai sul mercato è stato segnalato l’andamento anomalo dei prezzi dell’acqua in Italia per causa sua.

Per fortuna, aggiungiamo noi, l’acqua è un bene quantitativamente molto diffuso, tendenzialmente illimitato, e la cui vendita in bottiglia è esposta a una concorrenza accentuata sul mercato. I costi di produzione e imbottigliamento sono solitamente bassissimi, nell’ordine di qualche centesimo al litro, ma anche i prezzi di vendita sono alla portata di tutte le tasche, anche perché il consumatore dispone di un’arma potente per calmierarli, che non è l’esposto alla Guardia di Finanza, quanto bere acqua dal rubinetto, nei casi in cui ciò fosse possibile senza nocumento per la propria salute. Ed è il caso nella stragrande maggioranza delle case italiane.

Aldilà della difesa d’ufficio, Fedez ha ragione quando precisa che il prezzo di 8 euro a bottiglia non è fissato dalla moglie, che ha solamente prestato la sua firma per un’edizione limitata e, supponiamo, a tempo. E’ la società ad imporre i prezzi sulla base di una strategia di marketing opinabile, ma legittima e che non danneggia nessuno, visto che il consumatore continua ad avere la facoltà di scegliere se abboccare e comprare o bere l’acqua del rubinetto o di marche concorrenti a prezzi ben inferiori. Siamo ancora in un libero mercato, sarebbe opportuno ricordarlo ai leoni da tastiera e persino alla Codacons. I veri problemi dei consumatori sono altri, ossia i prezzi di beni e servizi imposti in regime di monopolio o di cartello. Sarebbe molto più proficuo che le associazioni nate in loro difesa concentrassero le attenzioni e il tempo su queste anomalie che attentano al benessere delle famiglie, non su iniziative di marketing del tutto innocue e che hanno la sola colpa di risultare “antipatiche” agli occhi di una cultura pauperista diffusa a tutti i livelli, seppure quasi sempre di enorme ipocrisia.

La abbiamo vista di recente in azione sull’apertura del primo store Starbucks a Milano e di tanto in tanto con i post di scontrini pubblicati da bontemponi, che si lamentano per avere “strapagato” un caffè o una bottiglietta d’acqua a Piazza San Marco a Venezia o di Spagna a Roma, come se non vi fossero altri posti in cui rilassarsi senza essere spennati.

Starbucks a Milano e la solita cultura anti-impresa degli indignati a mezzo social

La solita cultura anti-impresa in Italia

Piaccia o meno, bisogna rilevare come l’acqua griffata della Ferragni stia andando a ruba, risultando persino difficile trovarla sugli scaffali dei negozi in cui è venduta. Chiediamoci perché mai un consumatore dovrebbe acquistare una bottiglietta d’acqua a un prezzo anche di 10-20 volte quello ordinariamente fissato dalle società di imbottigliamento nel nostro Paese. Non risulta che Evian abbia comunicato qualità particolari per il suo prodotto, per cui saremmo in presenza di acquisto con finalità puramente di sfoggio e/o tesi a segnalare l’appartenenza a un gruppo ristretto di persone che vorrebbe distinguersi dalla massa sulla base di caratteristiche socio-economiche o puramente legate ad altro tipo di preferenze. Discutibile, ma non è per caso su questi aspetti che fa leva buona parte del Made in Italy con la vendita di prodotti di lusso? Pensate forse che sia meno opinabile vendere un maglione griffato a diverse centinaia di euro, quando è accertato che il suo costo di produzione sia nell’ordine delle decine di euro? Non dovremmo dire anche in questi casi che con l’abbigliamento non si scherza, trattandosi di un bene primario per eccellenza? Se riempio una bottiglia a casa con l’acqua dal rubinetto, esco in strada e la vendo a un passante per 100 euro, quale sarebbe l’atto illegittimo o immorale che sto compiendo? Semmai, dovrei essere lodato per la capacità di essermi fatto pagare come oro un prodotto già alla portata dello stesso acquirente.

Ovviamente, il nostro ragionamento è volutamente paradossale. Non esiste ragione per impedire a una società di vendere un jeans a 1.000 euro o un maglioncino di cashmere a 500. Vi sarebbe solo nel caso in cui venisse puntata la pistola alla tempia di un consumatore per obbligarlo a comprare. Poiché così non è, mettiamoci tutti il cuore in pace. Lasciamo che ognuno di noi acquisti anche a prezzi da altri considerati “ridicoli” ciò che gli pare. I bambini in Africa continueranno a patire la fame indifferentemente dagli 8 euro spesi per tre quarti di litri di acqua firmati Chiara Ferragni, mentre di una cosa siamo certi: lo stato italiano ci obbliga a pagare imposte salate e non pare che ciò avvenga sempre sulla base di un corretto valore addebitabile ai beni e servizi offerti. Di questo dovremmo indignarci, mentre pare che i leoni da tastiera abbiano molta più facilità a prendere di mira coloro che vorrebbero sottrarsi all’obbligo di pagare per mantenere carrozzoni statali spesso inutili e dannosi all’economia. Parliamo degli evasori fiscali, che certamente compiono un reato sottraendosi agli obblighi normativi, ma che andrebbero per altro verso inquadrati in alcuni casi (non i furbi allergici ai doveri) come fossero consumatori costretti ad acquistare acqua griffata a 8 euro, pur consapevoli che il costo per metterla sugli scaffali sia stato forse 100 volte più basso, senza potere ricorrere alle alternative disponibili e senza nemmeno potersi lamentare del loro venditore monopolista truffaldino: lo stato.

Tasse alte e non l’evasione fiscale vera emergenza nazionale

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