Sono di ieri i dati preliminari dell’Istat, in base ai quali l’economia italiana risulta cresciuta dello 0,3% nel primo trimestre rispetto ai 3 mesi precedenti, nonché dell’1,4% annuo. Nel periodo ottobre-dicembre 2017, la crescita tendenziale era stata la stessa, quella congiunturale appena superiore, al +0,4%. Nel frattempo, l’economia nell’Eurozona si è espansa dello 0,4% sui e mesi precedenti e del 2,5% su base annua, a conferma di come il resto dell’unione monetaria continui a camminare più velocemente di noi. Non sono gli unici dati a suggerire l’ampliamento delle distanze tra Italia e Area Euro.

Se teniamo presente il livello di ricchezza massimo raggiunto, ovvero quello di inizio 2008 nel nostro Paese, il pil italiano si attesta ancora del 5,5% in meno. Rispetto, però, al punto più basso toccato con la crisi, nel terzo trimestre del 2014, siamo risaliti del 4,4%.

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I passi indietro dell’Italia

Nell’Eurozona, rispetto alla fine del 2007, il pil è cresciuto del 6,1% e dal terzo trimestre del 2014 del 7,5%. In altre parole, fatto 100 il livello di ricchezza pre-crisi, l’Italia è oggi a 94,5, l’Eurozona mediamente si trova a 106,1. In un decennio, siamo arretrati di circa 11 punti e mezzo nei confronti del resto dell’unione monetaria a cui apparteniamo. Sono dati drammatici, che segnalano il declino dell’economia italiana, che incide oggi sul totale per il 15,4%, 2 punti in meno tondi rispetto al 2007.

E se il pil pro-capite prima della crisi era ancora in Italia di oltre il 94% rispetto alla media dell’area, adesso risulta crollato a sotto l’87%. Ad essere aumentato, invece, da noi è stato il debito pubblico pro-capite, ovvero suddiviso per il numero degli abitanti: +10.000 euro a testa in 10 anni, arrivato a quota 37.351 euro a fine 2017. In pratica, il debito pubblico a carico di ogni italiano è cresciuto di 1.000 euro all’anno, ben 5 volte in più rispetto al reddito.

Una situazione di allarme, che evidentemente non è stata recepita dalla nostra classe politica in tutta la sua portata drammatica. Oggi, alla direzione del PD andrà in scena una battaglia interna tra governisti e renziani sull’opportunità di stringere un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, mentre il leader della Lega, Matteo Salvini, chiede che il capo dello stato gli conferisca il pre-incarico per formare il nuovo governo e quello pentastellato, Luigi Di Maio, invoca le elezioni anticipate, avendo ricevuto un due di picche dagli altri due schieramenti per guidare un governo con il loro sostegno. Nel frattempo, il presidente Sergio Mattarella rinvia di settimana in settimana la nomina di un qualche possibile premier, da un lato non intravedendo alcuno sbocco politico credibile all’esito elettorale, dall’altro ambendo a un governo istituzionale, che metta insieme tutti, vincitori e perdenti, e si concentri sulla revisione della legge elettorale, prima di tornare al voto.

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Non disturbate la politica

E così, stiamo scivolando verso il secondo mese dalle elezioni senza avere idea di quale possa essere il prossimo governo, mentre si sprecano formule politiche e consultazioni al Quirinale per esitare una qualche soluzione. Tutto questo, mentre in Europa decidono di noi, senza che siamo nemmeno consultati. Sulla risposta alla minaccia di dazi dell’amministrazione Trump, così come sull’agenda delle riforme per l’Eurozona, che riguardano l’economia italiana come e forse più delle altre economie dell’area, la voce di Roma è semplicemente inesistente, a causa del vuoto politico venutosi a creare con le scorse elezioni, che hanno visto soccombere decisamente la maggioranza che sosteneva il governo ancora in carica per gli affari correnti. Peccato che non possa misurarsi in termini numerici l’altro declino nazionale, quello che concerne l’efficacia della nostra azione politica in Europa nel corso degli ultimi decenni.

Pronti a scommettere che emergerebbero cifre persino peggiori di quelle economiche.

Ad ogni modo, il paradosso quasi comico, se non fosse tragico, sta nel fatto che il meglio sarebbe alle spalle o quanto meno in via di esaurimento. L’economia nell’Eurozona rallenta, pur di poco, mentre quella italiana rimane appesa alle esportazioni (visto il rischio dazi?) e l’industria arranca. Sul piano internazionale, il petrolio sta diventando più caro e oscilla tra i 70 e i 75 dollari al barile, anche se per fortuna il rafforzamento dell’euro sembra essersi preso una pausa su attese meno restrittive sui mercati per la politica monetaria nell’Eurozona. Tuttavia, da qui a un anno e mezzo è più che probabile che i tassi nell’area inizieranno ad essere alzati, a distanza di alcuni mesi dalla cessazione degli stimoli monetari. Non vogliamo nemmeno affrontare il capitolo spinoso del contenzioso con la UE sui conti pubblici, ovvero sulla deviazione del deficit rispetto ai target concordati e le clausole di salvaguardia dal 2019. Insomma, avremmo bisogno di tutto, tranne che di una politica che spreca le settimane e i mesi a litigare su chi possa stare con chi e su quale luminare dovrebbe entrare a Palazzo Chigi per guidare l’esecutivo. Siamo messi peggio di quanto pensiamo.

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