Buona la prima? Insomma. Christine Lagarde è donna certamente affascinante, ma alla conferenza stampa di ieri successiva al board della BCE, il suo debutto non è stato per certi versi dei migliori. Non si è resa responsabile di “gaffes” propriamente dette, bensì artefice di uno “stile” tutto suo, che la stessa ha voluto rivendicare, avvertendo i presenti di “non sovra-interpretare” d’ora in avanti le sue parole. E già questo è un serio problema. Un banchiere centrale non può permettersi di avere uno stile di comunicazione personale, fuori dai codici canonici, altrimenti nessuno è in grado di capire nell’immediato cosa voglia intendere.

Per capirci, i mercati (investitori, imprese, lavoratori, risparmiatori e consumatori) si muovono sulla base delle aspettative sui prezzi e sui tassi. Se dalla banca centrale arrivano segnali ambigui, o sbagliano a fare i conti o rinviano al futuro le loro decisioni di acquisto, risparmio, investimento, lavoro, etc. E ieri, Lagarde ha commesso qualche errore in almeno un paio di situazioni. La prima, quando ha dichiarato di non vederci nulla di male nel coinvolgere anche figure della società civile nella “revisione strategica” che attende la BCE, praticamente per delineare nei prossimi anni migliori, sebbene non sia al momento del tutto chiaro cosa s’intenda per essa.

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Il passo falso sul MES

Ora, cosa c’entrano i politici e la società civile con strumenti e obiettivi di politica monetaria? Questa deve essere per sua natura distinta dalla politica fiscale, che è di competenza dei governi e dei parlamenti. E c’è una ragione fortissima che depone a favore della separazione tra le due sfere: i politici operano spesso secondo una visione corta, volta ad ottenere consensi immediati per essere rieletti, ma così facendo rischierebbero di destabilizzare i prezzi, se fosse loro consentito di decidere il livello dei tassi, ossia la quantità di moneta da emettere.

E un’inflazione bassa è precondizione per far funzionare l’economia.

Secondo passo falso: il MES. Lagarde accoglie positivamente l’apertura dell’Italia alla limitazione delle detenzioni di titoli di stato da parte delle banche, sostenendo che se il Fondo salva-stati e le sue regole fossero esistiti all’epoca della crisi in Grecia, molti errori sarebbero stati evitati, benedicendo le Clausole di Azione Collettiva per prevenire conseguenze “tossiche” ai danni degli stati in difficoltà. La francese ha dimenticato che non è affatto compito della BCE esprimersi su temi che non la riguardino. E le condizioni contrattuali legate alle emissioni sovrane sono materia (delicatissima) di competenze dei governi, nel caso specifico del Consiglio europeo e dell’Eurogruppo.

Sappiamo che l’ex direttore generale del Fondo Monetario Internazionale non abbia un pedigree accademico, che non sia un’economista e non abbia mai pubblicato un solo articolo di economia. In sé, non è una colpa. Che una banca centrale si apra a personalità non strettamente tecnocrati potrebbe anche essere un bene, perché diverse sensibilità e competenze sono un arricchimento, non certo un problema. A patto, però, che si rispettino le regole basilari che un banchiere centrale deve osservare, vale a dire il non superamento dei limiti del proprio operato.

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Il confronto con Draghi

Certo, lo stesso Mario Draghi fu accusato di essere andato oltre il suo mandato con azioni non convenzionali. Le critiche al suo mandato furono forti, non infondate, ma in quel caso si poté replicare agevolmente che la BCE operò in sostanziale contiguità con il trend internazionale e che, comunque, formalmente l’autonomia della sfera monetaria fu preservata con la fissazione di stringenti regole su cui è stato varato, ad esempio, il “quantitative easing”.

Lo stesso linguaggio dell’italiano fu sempre ineccepibile, anche quando più e più volte si appellò ai governi dell’area perché utilizzassero i margini di manovra fiscale. Il suo “suggerimento”, infatti, rimase sempre tale. E non poteva essere altrimenti.

Lagarde segnala di confondere i piani, anche quando ha dichiarato dopo il suo insediamento di volere che la BCE contribuisca alla lotta contro i cambiamenti climatici, tra l’altro sostenendo il mercato dei “green bond”. O come quando ha giustificato l’accomodamento monetario vigente, notando come gli interessi dei lavoratori siano preminenti rispetto a quelli dei risparmiatori. La solita Bundesbank è andata su tutte le furie e ha avuto fin troppe ragioni per farlo. Azioni apparentemente mosse da propositi condivisibili rischiano di creare distorsioni, discriminazioni e redistribuzione della ricchezza ai danni di alcune categorie di investitori e sociali, a favore di altre. Tutto questo non è lecito per una banca centrale. Ne vanno dei nostri risparmi, dei nostri investimenti, dei nostri consumi, del nostro lavoro, delle nostre stesse aspettative sul futuro. Lagarde può diventare una grossa risorsa, se metterà a disposizione di Francoforte le sue skills “politiche”, intese come capacità di costruire il consenso (“consensus-building”) e non come confusione tra i due piani.

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