Possiamo considerarla la sua prima uscita pubblica da governatore della BCE. E’ l’intervista resa da Christine Lagarde a RTL, l’emittente radiofonica francese. E già si è evinto uno stile abbastanza differente da quello più formale seguito dal predecessore Mario Draghi, a differenza del quale ha fatto i nomi dei paesi che, a suo dire, non farebbero abbastanza per l’euro. “Condividiamo la stessa moneta, ma non abbiamo un bilancio comune”. E riferendosi esplicitamente a Germania e Olanda, si è chiesta perché non spendano per le infrastrutture, l’istruzione, l’innovazione, pur disponendo di margini di bilancio.

“Non hanno fatto tutti gli sforzi necessari”, ha aggiunto.

Su questa prima parte, Lagarde ha dimostrato polso e carattere e anche un pensiero grosso modo condivisibile. Opinabile, invece, un’altra affermazione, quando nel corso della stessa intervista si è chiesta retoricamente se “non saremmo oggi in una situazione con disoccupazione molto più alta e un tasso di crescita molto più basso, e non è vero che abbiamo fatto in definitiva la cosa giusta per favorire il lavoro e la crescita, anziché la tutela del risparmio?”. E ancora: “dovremmo essere più felici di avere un lavoro che non di proteggere i risparmi”.

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Gaffe di Lagarde rischiosa

Perché queste parole non convincono? Anzitutto, rischiano di mandare su tutte le furie i paesi del nord. E non parliamo solamente dei governi, quanto dei cittadini. Tedeschi, olandesi, austriaci sono principalmente i più imbufaliti per l’eccessivo accomodamento monetario, che azzerando i tassi di mercato rende loro la vita più difficile come risparmiatori, costringendoli ad accantonare maggiori risorse per il futuro. Qualcuno ribatterà che il bisogno più urgente nell’Eurozona sarebbe di dare un lavoro a greci, spagnoli e italiani, ma a parte il fatto che l’equazione tra tassi a zero e più posti di lavoro non sia dimostrata e nemmeno empiricamente dopo anni di stimoli monetari BCE senza precedenti, il punto è che un governatore centrale non può schierarsi così apertamente in favore degli interessi di una categoria (e di un gruppo di paesi) contro un’altra (e di un altro gruppo di paesi).

Lagarde rischia di sortire il risultato opposto, ovvero di indisporre a tal punto i “falchi” seduti nel board – e sono stati tanti all’ultimo varo degli stimoli di Draghi a settembre – che questi bloccheranno qualsivoglia misura, anche ragionevole, che vada nella direzione di mantenere espansive le condizioni monetarie nell’area. Secondariamente, gli interessi dei risparmiatori non vengono dopo quelli dei lavoratori o dei disoccupati, per la semplice ragione che il conflitto è apparente e limitato al breve termine. Senza risparmi non esistono investimenti e senza investimenti non esiste crescita e senza crescita non esiste lavoro.

E avanza sempre più il sospetto che l’azzeramento dei tassi abbia finito per comprimere la crescita dell’economia, anziché sostenerla, colpendo i consumi. Come? Per l’appunto, costringendo i risparmiatori del Nord Europa ad accantonare una quota maggiore dei loro redditi per la vecchiaia, in particolare. Se questo stesse accadendo davvero, i posti di lavoro creati dalla BCE con l’accomodamento di questi anni sarebbero solo nelle teste del vecchio e del nuovo governatore. E considerando che, a differenza di Draghi, Lagarde non possegga un background da economista, non rassicura questo esordio a gamba tesa in un dibattito, che richiederebbe maggiore prudenza e capacità di analisi.

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