L’Abruzzo va al centro-destra. Come da previsione, il candidato di Fratelli d’Italia, Marco Marsilio, vince le elezioni regionali e con un margine nettamente superiore alle attese, attestandosi a oltre il 49%, quando siamo a circa l’80% dello spoglio. Sostenuto anche da Lega, Forza Italia, UDC e liste minori, ha staccato il centro-sinistra di Giovanni Legnini di circa 18 punti percentuali, mentre Sara Marcozzi del Movimento 5 Stelle si ferma sotto il 20%. Andando ai voti di lista, si scopre che primo partito è di gran lunga la Lega con il 28%, seguito a distanza dall’M5S al 19%, ma più che dimezzato rispetto alle politiche di nemmeno un anno fa, mentre il PD crolla all’11,3% e Forza Italia rimane sotto la soglia psicologica del 10%, in area 9%, incalzata da FdI con quasi il 7%.

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Tirando le somme, il centro-destra unito vince, trainato da una super Lega di Matteo Salvini, che ormai dilaga nei consensi anche nelle latitudini in cui era impensabile anche solo immaginare che arrivasse alla doppia cifra fino a pochi mesi fa. I grillini, invece, subiscono una dura batosta e se il trend fosse confermato anche dalle prossime elezioni in Sardegna, Basilicata, Piemonte ed Emilia da qui ai prossimi mesi, inevitabili saranno le ripercussioni sul governo Conte, nato con un consenso per i pentastellati praticamente doppio di quello leghista. Al momento, non solo i sondaggi segnalano che i rapporti di forza tra i due partiti della maggioranza si sarebbero ribaltati in favore del Carroccio.

L’effetto Mahmood origine della crisi a sinistra

Il centro-sinistra, che guidava la regione fino alle dimissioni del suo governatore, eletto al Senato, può consolarsi con il secondo posto, affatto scontato fino a ieri sera. Per il resto, suona il “de profundis” a sinistra, la cui crisi può essere ben spiegata da quanto accaduto proprio ieri notte sul palcoscenico dell’Ariston.

Siamo al Festival di Sanremo, dove il televoto viene surclassato dai voti della sala stampa e della giuria “di qualità”, portando alla vittoria uno sconosciuto Mahmood con un brano affatto apprezzato dal pubblico. Il 25-enne di Milano, figlio di padre egiziano e madre italiana, agli occhi di chi lo ha votato tra le giurie più per le sue origini e che non per testo e musica della canzone, avrebbe dovuto fungere, suo malgrado, da icona anti-salviniana di un’Italia delle porte aperte e dell’accoglienza. Senonché, si è fatto un torto ad un ragazzo, che ambiva semplicemente a gareggiare da “cantante” e non da leader politico di una sinistra para-intellettuale al disastro e in cerca di identità nella contrapposizione permanente.

Il successo di Salvini come quello di Berlusconi: la sinistra senza idee che insulta il popolo 

L’effetto Mahmood non ha portato bene, se non per poche ore, al PD. Esso, anzi, ne spiega il tracollo elettorale e ancor prima tra i sentimenti degli italiani. Quel che resto del partito di Pierluigi Bersani e Matteo Renzi è un’accozzaglia di eletti rintanati in un bunker contro il popolo, speranzosa solo che a portarla fuori sia una giuria di qualità ad hoc à la Sanremo, che magari prenda le sembianze di un governo tecnico alla Carlo Cottarelli o, perché no, alla Mario Monti-bis. Tifa Macron, se polemizza contro l’Italia e, addirittura, decide di richiamare l’ambasciatore francese a Roma, seguendo la logica del “il nemico del mio nemico è mio amico”; poco importa se ne valgono la dignità e gli interessi nazionali.

Se il PD viene travolto dalla propria proverbiale arroganza elitaria, Forza Italia conferma di essere arrivata al capolinea. Semplicemente, qui il capo-treno non fa scendere i pochi passeggeri rimasti, li tiene in ostaggio e crede che fingere che tutto vada bene gli apra una ennesima via per il successo.

In queste ore, un appassito Silvio Berlusconi rivendica la vittoria del “centro-destra unito”, e non può fare altrimenti. Ma a vincere è stata la Lega con un candidato di Giorgia Meloni; la sua creatura non funziona più ed è spesso persino motivo di imbarazzo tra gli alleati, essendosi screditata negli anni con una dirigenza a dir poco incompetente e, a volte, impresentabile e avendo abbracciato il nemico di sempre sin dal 2011, nella volontà disperata di resistere alla sanzione popolare per i propri numerosi errori.

Da qui alle europee, il travaso di consensi nel centro-destra a favore di Salvini potrebbe proseguire. Ciò renderà ancora più patetica l’ultima discesa in campo del Cavaliere, il quale ancora spera di smuovere le acque con una campagna insipida a sostegno della stessa Europa contro cui si è scagliato per due lunghi decenni e che ritiene essere stata la responsabile del “golpe” (parole sue) che lo portò fuori da Palazzo Chigi nel novembre 2011. Il popolo ha parlato piuttosto apertamente da diverso tempo. La Seconda Repubblica è stata sepolta dalle macerie di due partiti-perno, che non si rassegnano alla loro disfatta, invocando salvatori stranieri e improbabili alchimie parlamentari per tornare al centro dei giochi.

Governo Conte al bivio

La forza di Salvini, però, sarà sempre più debolezza per il governo Conte. I grillini non sono attrezzati per amministrare l’Italia, figuriamoci nel caso di crisi. Non hanno una cultura economica compatibile con un capitalismo funzionante; sono sospettosi della libera impresa; hanno sfiducia nell’individuo e lo dimostrano con il blocco di tutte le opere pubbliche sull’assunto che sarebbero occasioni di potenziale corruzione; non posseggono una linea che vada oltre la distribuzione delle prebende pubbliche e l’assistenzialismo puro. In fondo, sono stati votati proprio per queste loro posizioni, dopo il fallimento dei partiti della Seconda Repubblica.

Tuttavia, ciò appare ogni giorno più incompatibile con la linea di Salvini, che adesso deve capitalizzare dal suo costante successo, portando a casa i risultati che vadano oltre la politica sull’immigrazione.

La sinistra non c’è più e contro Salvini emerge solo una pattuglia di sindaci pro-bontà

La Lega deve dimostrare di essere diventata il nuovo punto di riferimento delle categorie economiche e per farlo dovrà fare valere le ragioni di chi la TAV e le altre opere pubbliche le vuole, di chi chiede più impresa e meno stato, di chi vuole abbattere la burocrazia, di chi pretende minori tasse e non più sussidi, di chi vuole incoraggiare gli investimenti privati, di chi invoca posizioni di politica estera degne di una delle principali potenze mondiali, a differenza della vergogna accaduta con il “ni” di Roma al regime di Maduro in Venezuela. I numeri dicono che Salvini potrebbe governare, dopo eventuali elezioni anticipate, anche senza Berlusconi, magari alleandosi solamente con l’altra formazione “sovranista”, quella capeggiata dalla Meloni. Sarebbe un atto di chiarezza che consegnerebbe alla storia il Cavaliere da un lato e il PD dall’altro, ma stavolta consentirebbe agli italiani davvero di avere un governo con una posizione riconoscibile e non frutto dell’annullamento delle due linee interne contrastanti.

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