La manovra “del popolo” ha ottenuto il via libera della Commissione europea dopo due mesi di dure trattative per ammorbidirla nella parte in cui prevedeva misure in deficit, innalzando il disavanzo fiscale fino al 2,4% del pil. Quest’ultimo scenderà al 2,04% nel 2019 e le stesse previsioni di crescita del governo, inizialmente fissate all’1,5%, sono state riviste opportunamente al ribasso all’1%. Tuttavia, la sfiducia tra le parti resta massima, come si evince dalla pretesa di Bruxelles di ottenere dal governo Conte garanzie sul futuro delle finanze statali italiane.

Il trucco utilizzato è consistito ancora una volta nella sottoscrizione di clausole di salvaguardia, le stesse che verranno sterilizzate l’anno prossimo, in buona parte attraverso il maggiore deficit consentito. Parliamo degli aumenti dell’IVA e delle accise, che scatterebbero nel caso in cui l’Italia non si mostrasse in grado di ridurre per le date concordate il deficit nella misura richiesta.

Clausole di salvaguardia addio?

Prima della legge di Stabilità per il 2019, sapevamo che dal prossimo 1 gennaio sarebbero scattati gli aumenti dell’IVA dal 10% all’11,5% per l’aliquota sui generi di prima necessità e dal 22% al 24,2% per l’aliquota maggiore. In tutto, 12,4 miliardi il costo necessario per sventare tale stangata. Dal 2020, poi, le aliquote IVA sarebbero passate rispettivamente al 13% e al 24,9%, mentre dal 2020 l’aliquota più alta sarebbe stata innalzata ulteriormente al 25%. In più, sarebbero state ritoccate all’insù anche le accise.

Questo, come abbiamo anticipato, è il passato. Il 2019 non ci porterà alcun aumento dell’IVA e delle accise, ma dal 2020 non lo sappiamo, perché il governo non solo ha rinviato per allora le clausole di salvaguardia sottoscritte dai governi del PD negli anni passati, ma le ha persino rafforzate, prevedendo aliquote IVA al 13% e al 25,2%, con quest’ultima a salire ancora al 26,5% nel 2021. Le accise, poi, salirebbero di 400 milioni di euro nel 2020 e altrettanto in ognuno dei due anni successivi.

Trattasi di un’operazione da 23 miliardi per il 2020 e di 28,75 miliardi per il biennio successivo.

Aumenti di IVA e accise solo rinviati per ora

Che cosa significa? I commissari hanno dato il via libera alla manovra, ma con la spada di Damocle della stangata sull’IVA. Nel caso in cui Roma non si mostrasse in grado di trovare entro i prossimi 12 mesi ben 23 miliardi, circa l’1,3% del pil, gli aumenti scatterebbero automaticamente. E ve ne sarebbero altri per ulteriori 5,75 miliardi tra poco più di due anni. Il tutto per farci tendere con le cattive, dato che con le buone non c’è riuscito sinora nessuno, al pareggio di bilancio entro il 2021-’22. Insomma, un salasso per i consumatori, che subirebbero rincari poderosi, potenzialmente in grado di far collassare il comparto vendite e l’economia italiana. Perché il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, hanno firmato una simile scelleratezza? Evidentemente, per guadagnare tempo e ottenere, intanto, il via libera per la manovra.

Questo significa, però, che già nei prossimi mesi il governo dovrebbe mettersi al lavoro per scongiurare la super-stangata. Il problema sta nell’entità delle misure, perché trovare 23 miliardi in meno di 12 mesi farebbe tremare i polsi a chiunque. I governi Monti e Letta non furono in grado, ad esempio, di trovare le risorse necessarie per evitare l’aumento ciascuno di un solo punto percentuale di IVA, la cui aliquota massima effettivamente salì così dal 20% a cui si trovava fino al 2012 dagli anni Novanta al 22%. Non fu un toccasana per i consumi, i quali si contrassero, prolungando la recessione della nostra economia. E allora, ci permettiamo di scrutare in questo accordo una sorta di scommessa-azzardo da parte della maggioranza giallo-verde, cioè che l’anno prossimo le cose andranno assai diversamente, a seguito delle elezioni europee.

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L’azzardo delle europee

Matteo Salvini e Luigi Di Maio vanno dichiarando a ogni occasione utile che non vedremo più il dito puntato dei commissari alla prossima legge di Stabilità, perché gli Juncker e i Moscovici verranno “spazzati via” dalle urne. Molto probabile, ma la domanda è semmai un’altra: chi verrà dopo loro sarà più tenero con l’Italia? Se a vincere le elezioni fosse lo Spitzenkandidat del PPE, il tedesco Manfred Weber, non sembra proprio che alleggerirebbe la pressione su Roma in merito ai conti pubblici. Anzi, l’ortodossia fiscale del bavarese e del partito conservatore di appartenenza è nota, per cui dovremmo supporre che le eventuali concessioni ci arriverebbero per effetto di compromessi politici a Strasburgo. E il ministro dell’Interno punta proprio ad affermarsi come leader determinante per i prossimi equilibri all’Europarlamento, facendo da trait d’union tra popolari e sovranisti. Ci riuscirà? Vedremo. E verificheremo anche se da tale accordo possa scaturire qualcosa di buono per l’Italia o se il trattamento che riceveremo in sede di presentazione della prossima manovra sia più o meno uguale a quello di questi mesi.

L’unica certezza ad oggi è che ci siamo intrufolati in un altro tunnel, quando almeno sembrava che fossimo usciti da quello costruito dal PD con le clausole di salvaguardia ad attenderci tra qualche giorno. La scelleratezza dell’azzardo peserà sin da oggi sull’economia italiana, perché nessuna impresa può produrre o programmare le vendite per tempo, senza sapere a quali aliquote dovrà assoggettare i propri beni e servizi. Tempo addietro, abbiamo definito le clausole di salvaguardia un “sequestro” del futuro e lo ribadiamo con forza. Ancora una volta, abbiamo ipotecato i conti pubblici e quelli in tasca ai cittadini. Da questo punto di vista, destra o sinistra, europeisti o sovranisti, “business as usual”. Il malcostume politico del rinviare le soluzioni ai problemi è difficile da scalfire in Italia.

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