Nonostante sia in default da 6 mesi e mezzo, l’Argentina non intende sbloccare l’impasse e il ministro dell’Economia, Axel Kicillof, si è rifiutato in questi giorni di incontrare i fondi “avvoltoi” americani, guidati da Elliott Management, definendoli “ostinati”. I fondi sono usciti vincitori lo scorso anno da una lunga battaglia legale dinnanzi alla giustizia USA, essendo stato loro riconosciuto il diritto di vedersi rimborsati 1,6 miliardi di dollari per i bond argentini acquistati dopo il default del 2002. Come ultima offerta, Kicillof ha reso noto che tali fondi sarebbero disponibili a rinunciare al 15% dei loro crediti, una percentuale considerata molto bassa dal governo di Buenos Aires, che sta rimborsando gli obbligazionisti ristrutturati con gli accordi del 2005 e del 2010 al 33% del valore dei titoli in loro possesso.

Il ministro ha avvertito che non sarà consentito ai fondi stranieri di comportarsi come fecero con l’Argentina negli anni Novanta, quando la condussero alla più grande bancarotta della sua storia, ha spiegato. In ciò si è detto d’accordo con la presidente Cristina Fernandez de Kirchner, secondo cui “mai con questo presidente” avranno ciò vogliono.   APPROFONDISCI – L’Argentina potrebbe annunciare la fine del default. Ecco la beffa con l’arrivo del 2015  

Prezzi bond salgono

Nonostante il clima di muro contro muro e il fatto che l’Argentina sia tagliata fuori dai mercati finanziari internazionali, il prezzo dei bond sale da diverso tempo. I titoli con scadenza a ottobre per 6,1 miliardi di dollari ed emessi sotto la legge locale hanno visto salire il loro prezzo fino a 101,62 venerdì scorso da 88 dello scorso ottobre. Gli stessi titoli emessi sotto la legge USA e su cui pende il default sono saliti del 3,6% quest’anno, più del doppio della media delle economie emergenti. I bond ristrutturati e in default con scadenza 2033 viaggiano adesso sui 93 centesimi contro gli 83 della media dello scorso anno.

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Cambiamento politico in vista?

Sembra piuttosto incredibile che il mercato assegni ancora fiducia ai titoli emessi da uno stato fallito per ben due volte in appena 12 anni e mezzo e che non si mostra disponibile al confronto. Ma la ragione di tale ottimismo potrebbe consistere proprio nella fine del mandato della presidenta, che scade a fine anno. La Kirchner non potrà più ricandidarsi per un terzo mandato e il suo governo è travolto oggi dallo scandalo suscitato per la morte del Procuratore di Buenos Aires, Alberto Nisman, suicidatosi “misteriosamente” a poche ore dalla sua deposizione davanti al Congresso, durante la quale avrebbe chiesto l’arresto della presidenta per l’occultamento presunto delle responsabilità dell’Iran in un attacco terroristico nella capitale. L’ondata di impopolarità che colpisce l’amministrazione Kirchner, anche frutto della grave crisi dell’economia, potrebbe favorire lo sfidante Mauricio Macri, sindaco di Buenos Aires, che ha promesso in caso di vittoria di eliminare i controlli valutari e di raggiungere un accordo con i fondi stranieri. In sostanza, il mercato starebbe scommettendo sul cambiamento politico da qui ai prossimi 10 mesi. E se gli investitori continuano a ritenere che non ci sarebbero motivi di allarme per il rimborso del debito in scadenza, qualche dato preoccupante esiste: dall’inizio dell’anno ad oggi, le esportazioni di cereali sono crollate del 24%. Esse rappresentano un terzo delle intere esportazioni argentine e il gettito derivante finanzia il 37% della spesa pubblica del governo. Ma la speranza di un cambio di regime prevale sul resto.   APPROFONDISCI – Argentina, Massa promette: via controlli sul peso e accordo con i fondi sul debito