Non è ancora arrivata a metà del mandato e già si vedono i segni della fatica. Christine Lagarde s’insediò come successore di Mario Draghi alla guida della Banca Centrale Europea (BCE) nell’ottobre del 2019. Un’altra era per i mercati finanziari. Pochi mesi dopo, la pandemia. E puntuale arrivò la prima gaffe enorme della francese con quel “non siamo qui a chiudere gli spread” pronunciata il 12 marzo 2020. Borse europee scaraventate negli abissi, panico tra gli investitori e passo indietro di Francoforte con tanto di stridore delle unghie sugli specchi.

Ma di gaffe Lagarde ne ha collezionate tante. Potrebbe aprire un museo dentro l’Eurotower al termine del suo mandato, che arriverà solamente alla fine del 2027, salvo imprevisti. Le premesse per un altro (quasi) quinquennio colmo di boutade poco divertenti ci sono tutte. Siamo nell’autunno del 2021. L’inflazione nell’Area Euro inizia a salire velocemente, superando il target del 2%. Era già al 3% in agosto, sarebbe schizzata al 5% alla fine di quell’anno. Ma per l’ex direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, la stessa che gestì da cani la crisi del debito in Grecia, niente paura.

Nel settembre 2021, rassicurava tutti: l’inflazione sarà “transitoria”. Se anche stimolerà i salari, non ci sono rischi di una seconda ondata di aumenti dei prezzi. Un mese dopo, ribadiva la necessità per la BCE di non “sovra-reagire” alle dinamiche dei prezzi. In sostanza, nulla di cui preoccuparsi. Arriva gennaio 2022 e in tanti tra analisti e investitori si aspettano almeno un cambio di tono dell’istituto sulla politica monetaria. Non ci sarà. E neppure a marzo e ad aprile, mentre l’inflazione galoppava già sopra il 7%.

Lagarde da colomba a falco

E siamo a giugno, quando la BCE di Lagarde non trova di meglio che annunciare che alzerà i tassi a luglio. Il peggio che possa fare una banca centrale è prospettare un cambio di policy senza definirne i contorni.

L’incertezza regna sovrana, i mercati vanno giù e lo spread tra BTp e Bund esplode. A pochi giorni dal board, la BCE è costretta a tenere una riunione straordinaria per annunciare che varerà uno scudo anti-spread nuovo. A luglio partorisce il topolino, ma almeno inizia ad alzare i tassi.

I toni di Lagarde cambiano. Mentre i mercati risalgono nelle ultime settimane e lo spread stringe, il governatore si affanna giorno e notte per segnalare che la stretta sui tassi non è finita. Vede rischi sull’inflazione dalle riaperture in Cina dopo i lunghi mesi di lockdown anti-Covid. L’inflazione non solo non è più transitoria, ma c’è il timore che possa durare a lungo ben sopra il target. Da “colomba” a “falco” in breve tempo. In questo errore madornale è stata in ottima compagnia. Persino la Federal Reserve sbagliò analisi fino ad un anno fa. Ma nessuna banca centrale sembra in balia degli eventi come la BCE di Lagarde.

E dire che non è la prima volta che i francesi mandano alle ortiche la credibilità dell’istituto. Nel 2011, Jean-Claude Trichet alimentò la crisi dello spread con una politica monetaria sconnessa dalla realtà e con indecisioni sul da farsi per sostenere i bond del Sud Europa. Per fortuna a novembre arrivò Draghi a sistemare le cose. S’inventò prima le aste Ltro con cui iniettò in due mesi oltre 1.000 miliardi di euro a favore delle banche a tassi bassi e a lungo termine. Dopodiché fu il turno del “quantitative easing”. Prima ancora aveva tagliato i tassi fin sottozero. E quel famoso whatever it takes del 26 luglio 2012 cambiò le sorti dell’Area Euro. Senza, probabile che oggi Lagarde avesse tutt’altra occupazione.

Credibilità di Draghi sciupata

Le misure dell’era Draghi restano molto discutibili.

In un certo senso, possono essere considerate forte concausa dell’inflazione alle stelle nell’ultimo anno. Tuttavia, la BCE dell’italiano accumulò un patrimonio di credibilità enorme. Prima di lui, Francoforte non era neppure considerata una vera banca centrale. Il solo fatto che bastarono tre parole neppure seguite dai fatti per calmare i mercati la dice lunga sulla differenza con l’era Lagarde. La francese parla, parla e nessuno capisce cosa voglia dire. Da un sondaggio interno condotto da IPSO tra i funzionari dell’istituto è emerso che più del 40% non avrebbe sufficiente fiducia in Lagarde e i sei componenti del consiglio esecutivo.

Un dato grave. Del resto, si scoprì tempo fa che il capo-economista Philip Lane tenesse chat segrete con banche d’affari scelte a rotazione dopo ogni board, al fine di spiegare ai principali attori del mercato il senso delle dichiarazioni di Lagarde. Umiliante per chi per mestiere dovrebbe farsi capire e possedere l’autorevolezza per mettere a tacere insinuazioni e timori. Adesso, il governatore “gioca” a fare il “falco”. Recita una parte propinatale dai governatori del Nord guidati dalla Bundesbank. Lo si capisce e per questo i mercati non le credono. Ancora al board di dicembre, ennesimo disastro sotto il profilo della comunicazione, ebbe l’ardire di commentare la posizione dell’Italia sulla ratifica del MES. Trasgressione alla regola basilare per cui un governatore centrale non dovrebbe mai giudicare fatti all’infuori del proprio mandato.

Vi fidereste di un capitano in mare aperto e durante una tempesta, che fino a pochi minuti prima vi aveva rassicurato che avreste presto attraccato ad un porto vicino? Questa è Lagarde. Da francese, capirà quanti eccepiscano che non abbia “le physique du role” per espletare con autorevolezza il compito affidatole oltre tre anni fa. Di quel patrimonio di credibilità ereditato da Draghi resta ben poco. Anche l’italiano fu inviso al Nord Europa, ma perlomeno tutti sapevano di essere in buone mani.

E a riconoscerlo è stata la stessa Bundesbank. Lagarde non ha amici, semplicemente perché è considerata incompetente. Non tanto perché ha studi da giurista e non da economista. Non rappresenta nessuno, a voler essere onesti neppure la stessa Francia, tant’è che il presidente Emmanuel Macron di recente ha sbottato contro il rialzo dei tassi. E questa situazione sta generando diversi supplenti ufficiosi, mandando in confusione i mercati.

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