L’Eurogruppo di lunedì non ha voluto alzare la pressione sull’Italia per provvedere all’immediata ratifica del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità). Il presidente Paschal Donohoe ha parlato di rispetto per il Parlamento italiano e le procedure della nostra democrazia. Ma sta di fatto che siamo rimasti l’unico paese europeo a non avere approvato la riforma del Fondo salva-stati. Il governo di Giorgia Meloni sembra più morbido nelle ultime settimane, ciononostante continua a rinviare la decisione sul da farsi.

A Palazzo Chigi vorrebbero sfruttare questa posizione ambigua per ottenere uno scambio almeno sulla riforma in corso del Patto di stabilità.

Di recente, l’economista Francesco Giavazzi ha lanciato una sua idea per giungere alla ratifica del MES e al contempo superare le giuste osservazioni che sono arrivate dall’Italia. Vicinissimo all’ex premier Mario Draghi, egli sostiene che il fondo abbia la pecca di essere percepito come una soluzione estrema per il caso in cui uno stato non abbia più accesso ai mercati finanziari. La sola richiesta di aiuto provocherebbe quell’effetto stigma di cui tanto di parla da anni. Non a caso, nessun governo ha mai chiesto un euro al MES. Giavazzi aggiunge che, disponendo di “risorse limitate”, il fondo non sarebbe neppure in grado di sventare sul nascere la speculazione contro le banche nel caso in cui si rendessero necessari aiuti in tal senso.

Giavazzi: ratifica MES e dopo riforma

Qual è la soluzione prospettata? Trasformare l’ente dopo la ratifica del MES in una Agenzia del Debito Europeo. Il MES rileverebbe i titoli di stato acquistati dalla Banca Centrale Europea (BCE) a seguito dei suoi programmi monetari. Per finanziare l’operazione, emetterebbe a sua volta debito comune o Eurobond. In questo modo, spiega, la BCE potrebbe condurre la sua politica monetaria in maniera efficiente, vale a dire senza essere limitata dalle dimensioni del suo bilancio.

E sappiamo che in questi mesi, il rialzo dei tassi d’interesse si scontra con la necessità di salvaguardare l’unità dei mercati sovrani, contenendo gli spread.

Detto questo, perché la ratifica del MES dovrebbe avvenire prima di un’eventuale riforma in tal senso? Ammesso, chiaramente, che questa sia opportuna. Lo è? Nel concreto, trasferendo i titoli di stato dalla BCE al MES significherebbe rendere gli stati nazionali non più dipendenti dalle mosse di Francoforte. Fin qui, bene. Ma gli stessi stati sarebbero alla mercé di un altro creditore, un ente sovranazionale con sede nel Lussemburgo. E per statuto, non avrebbe alcuna limitazione all’esercizio dei suoi diritti verso i debitori. Ad esempio, non sarebbe tenuto a restituire gli interessi maturati in forma di dividendi.

Dalla padella alla brace?

Con quel debito in portafoglio, poi, il MES potrebbe farci ciò che vuole: rivenderlo sul mercato, liberarsi della sola quota afferente agli stati con rating medio-bassi, ecc. L’idea di Giavazzi presuppone, pare di capire, che la ratifica del MES sarebbe seguita da un accordo per condizionare l’operato dell’ente nella sua nuova veste di Agenzia del Debito Europeo. Ma perché mai gli stati del Nord Europa dovrebbero concordare ed eventualmente concederci condizioni migliori di quelle di cui godiamo già presso la BCE?

Il nodo è sempre stato e resta politico. Il Nord Europa non si fida del Sud. Pretende condizioni stringenti per i casi in cui siano effettuate operazioni di politica monetaria o fiscale tali di possibile sostegno agli stati più indebitati. La ratifica del MES non cancella tali diffidenze, anzi le mantiene intatte. Gli eventuali aiuti resterebbero fortemente condizionati e successivi a una verifica sulla sostenibilità del debito pubblico. Passerebbero forse settimane o mesi, nel frattempo i mercati chiuderebbero i rubinetti e la crisi finanziaria si aggraverebbe.

Ha davvero senso il via libera a uno strumento fuori dal tempo, quando è palese che gli spread s’impennano e crollano in base alla capacità o meno della BCE di rassicurare sul loro contenimento?

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