Pier Carlo Padoan è stato cooptato nel consiglio di amministrazione di Unicredit, di cui sarà presidente. La notizia è dei giorni scorsi e ha subito acceso i fari sulla possibile commistione tra politica e sistema bancario. L’uomo è stato ministro dell’Economia sotto i governi Renzi e Gentiloni, cioè tra il febbraio 2014 e l’1 giugno 2018. E ad oggi è deputato del Partito Democratico, carica da cui ha annunciato che si dimetterà. Il caso avrà riflessi sul dibattito attorno a Banca MPS. L’istituto senese dovrà con ogni probabilità fondersi con un altro italiano o straniero, anche perché entro 1-2 anni il Tesoro dovrà uscire dal capitale e ri-privatizzare la banca.

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Unicredit è indiziato, pur tra secche smentite, di essere interessata alle nozze. Per farlo, probabilmente pretenderà una dote dallo stato che le consenta di mantenere invariati i ratios patrimoniali, così come nel 2017 avvenne a favore di Intesa Sanpaolo, quando Carlo Messina decise di prendersi le attività in bonis di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. E chi c’era allora come ministro dell’Economia? Proprio Padoan.

Il conflitto di interessi di Padoan

Che vi sia un conflitto di interessi in questa nomina appare evidente. Padoan ha gestito il salvataggio di MPS tra la fine del 2016 e gli inizi del 2017, tra l’altro facendo entrare il Tesoro nel capitale con un quota di oltre il 68%. Da ministro è forse entrato a conoscenza di informazioni ad oggi ignote, almeno nell’immediato, al mercato. Questo crea i presupposti per una disparità di condizioni tra le banche nell’affrontare il dossier Siena. Il solo fatto che il responsabile del salvataggio pubblico di MPS si occupi del caso nelle vesti di presidente di Unicredit non sarà neutrale ai fini delle valutazioni che i dirigenti della banca salvata si troveranno ad effettuare.

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Poniamo il caso che Unicredit e una seconda banca avanzino due offerte concorrenti per rilevare MPS. Pensate davvero che Rocca Salimbeni le giudicherà senza alcun timore reverenziale nei confronti dell’uomo che ne ha salvato il destino e che probabilmente è a conoscenza più di ogni altro delle sue magagne legali e finanziarie? Questo significa, però, che ci sarebbe un’alterazione delle regole del mercato e che la nomina di Padoan potrebbe servire a Unicredit per spuntare condizioni migliori di quelle che altrimenti otterrebbe, mettendo fuori gioco la concorrenza.

La stessa figura di Padoan è stata caratterizzata mediaticamente sull’accostamento con il salvataggio di MPS. Lo dimostra il fatto che l’allora segretario del PD, Matteo Renzi, nel 2018 lo volle candidare proprio nel collegio di Siena contro l’economista della Lega e iper-critico verso il salvataggio, Claudio Borghi Aquilini. E’ appropriato approfittare delle porte girevoli non formalmente vietate da alcuna legge per uscire dalla politica ed entrare in banca? Il problema è che in Italia discutiamo da oltre 25 anni sul conflitto di interessi, ma legandolo quasi esclusivamente alla figura di Silvio Berlusconi, che da premier controllava il primo gruppo televisivo privato. In realtà, di conflitti ve ne sono tantissimi e, pur meno evidenti, capaci di distorcere il mercato e di creare occasioni di pericolosa commistione tra politica e affari privati.

Credibilità politica a rischio

Padoan è un economista di tutto rispetto e vanta un curriculum straordinario. E’ stato esperto del Fondo Monetario Internazionale e vice-segretario dell’OCSE, due organismi preminenti nel panorama finanziario mondiale. La sua nomina a presidente di Unicredit potrebbe anche non c’entrare alcunché con il suo ruolo di ministro svolto per oltre 4 anni, ma il solo dubbio che così possa essere getta discredito sulla già debolissima percezione che gli italiani hanno della politica.

E forse crea più problemi che opportunità per MPS, perché ogni mossa che Piazza Gae Aulenti farebbe per avvicinarvisi si presterebbe a fraintendimenti.

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Vi ricordate quando il governo di cui Padoan fece parte salvò Banca Etruria, il cui vice-presidente prima del commissariamento era stato il padre di Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme e braccio destro del premier Renzi? Ne seguì un triennio di polemiche velenose, forse l’ingrediente principale del successo riscosso dal Movimento 5 Stelle alle elezioni del 2018. Banca Etruria sarebbe stata salvata con ogni probabilità ugualmente con soldi pubblici, anche se la famiglia Boschi non vi avesse mai lavorato un solo giorno. Eppure, non poté passare inosservato che il governo salvasse con i quattrini dei contribuenti una banca mal gestita, tra i cui dirigenti vi erano stati il padre e il fratello di un importante ministro.

Siena si presta a una lettura ancora più politicizzata, perché fino al crac si presentava nei fatti controllata dalla Fondazione, a sua volta controllata da Regione Toscana, Provincia e Comune di Siena, tutti in mano al PD. Nell’opinione pubblica, è passata per la banca “della sinistra” e questa nomina di Padoan, volenti o nolenti, non fa che corroborare il sospetto di larghi strati della popolazione che la politica sia fin troppo intrecciata con il sistema bancario. Certo, non che all’estero vi sia sempre il buon esempio. Nel 2016, José Manuel Barroso veniva nominato presidente non esecutivo e advisor di Goldman Sachs, banca d’affari americana. Erano trascorsi meno di due anni dalla fine della sua presidenza alla Commissione europea, retta per ben dieci anni. L’imbarazzo a Bruxelles fu enorme, perché tutto le già poco amate istituzioni comunitarie possono permettersi, tranne che apparire in mano a questa o quella lobby.

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