Brutto colpo per MPS, le cui azioni sono scese ieri sotto la soglia psicologica dei 3 euro e attualmente viaggiano in area 2,94 euro. In un mese, la banca senese ha perso il 13,5% a Piazza Affari, mentre dall’inizio dell’anno il rosso sfiora il 25%. Al momento, l’istituto capitalizza 3,3 miliardi, per cui la quota in capo al Tesoro e pari al 68,2% vale qualcosa come 2,3 miliardi. A conti fatti, i contribuenti italiani starebbero perdendo virtualmente oltre 3 miliardi. Lo stato, infatti, è entrato a Siena con una partecipazione all’ultima ricapitalizzazione da 3,85 miliardi di euro, grazie alla quale aveva rilevato poco più del 52% della banca sottoscrivendo le azioni di nuova emissione a 6,49 euro.

Successivamente, ha impiegato altri 1,5 miliardi per acquistare a 8,65 euro per azione le obbligazioni subordinate convertite dai piccoli investitori, in modo da sfuggire al “bail-in”.

Dunque, mediamente il Tesoro ha acquistato azioni MPS a 7 euro, quando oggi ne valgono meno di 3. La perdita sarebbe del 58%, al momento, pari a circa 3,1 miliardi. Parliamo di un rosso virtuale, nel senso che si avrebbe solo se oggi stesso il Tesoro decidesse di vendere l’intera quota posseduta, cosa che non è nelle intenzioni del governo. E, tuttavia, il trend non rassicura. La UE ha avallato l’operazione di salvataggio pubblico, chiedendo a Roma di uscire dal capitale della banca senese alla prima occasione utile. Le condizioni per ipotizzare la privatizzazione ad oggi non esistono.

Crisi banche, tutti gli errori del tragico Padoan ai danni dei contribuenti

Rilancio di MPS non vicino

Oltre ai costi che si addosserebbero ai contribuenti, resta il problema del rilancio di una banca, che ha chiuso il 2017 con una maxi-perdita consolidata di 3,5 miliardi, frutto essenzialmente della cessione di 26 miliardi di euro di Npl, operazione unica per numeri. Il punto è che dopo l’enorme sforzo compiuto, gli analisti di Mediobanca hanno avvertito all’inizio dell’anno che potrebbero servire altre cessioni per complessivi 11 miliardi, di cui 6 relativi a Npl e 5 a “unlikely to pay”.

I primi verrebbero ceduti al 20% del loro valore nominale e farebbero diminuire il Cet 1 ratio (valore patrimoniale monitorato dalla BCE) di 65 punti base. Quello per il 2019 è atteso al 14,5%, non tenendo conto delle eventuali ulteriori cessioni.

Se tutto va bene, alla fine dell’anno prossimo MPS avrà un rapporto tra crediti deteriorati e impieghi del 9,2%, una percentuale nettamente inferiore al 15,4% dell’estate scorsa, ma pur sempre superiore al 5,15% medio delle banche europee al 30 settembre scorso. Pertanto, la banca più antica al mondo ad oggi operativa rischia di restare tra i grandi sorvegliati d’Europa per ancora diversi anni. Difficile, a queste condizioni, che il successore di Pier Carlo Padoan al Tesoro e di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi possano anche solo prendere in considerazione di vendere in tutto o in parte la quota. E non è nemmeno detto che le azioni risalgano ai valori di carico, se la storia di MPS nell’ultimo decennio ci ha insegnato qualcosa. Rischiamo di rimetterci fino a tutti i quasi 5 miliardi e mezzo spesi per salvare l’istituto, tra nuove ricapitalizzazioni e diluizione del Tesoro nel capitale. Un disastro, che effettivamente è costato elettoralmente molto al PD, sebbene paradossalmente proprio Padoan abbia vinto nel collegio di Siena, nonostante sulle banche abbia pasticciato oltre ogni previsione immaginabile.

Padoan non ha “avvelenato i pozzi”, ma è stato un ministro dell’Economia disastroso

[email protected]