Con il decreto varato dal Consiglio dei ministri di domenica, il governo Gentiloni stanzia altri 5,2 miliardi “freschi” per salvare la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ma il conto complessivo per le sole due banche venete potrebbe portarsi fino a un massimo di 19-20 miliardi, considerando le garanzie apposte per 12 miliardi e le perdite presumibilmente accusate sui crediti deteriorati per 1-2 miliardi. E’ solo l’ultimo atto in ordine temporale della gestione dilettantesca della crisi delle banche da parte del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ha dimostrato dalla fine del 2015 ad oggi una incapacità totale nell’affrontare tempestivamente e in maniera efficace i problemi del nostro credito.

Era il novembre 2015, quando d’intesa con la Banca d’Italia, il Tesoro salvava Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti, svalutando i loro crediti deteriorati al 17,5% del loro valore nominale e di fatto scatenando la crisi in borsa dei titoli bancari. Il mercato colse in tale svalutazione come di un “benchmark” per i crediti dubbi di tutto il sistema bancario, scontando a Piazza Affari le maggiori perdite attese, dato che a bilancio le sofferenze venivano ancora prezzate intorno al 45%. Da quella data e fino al luglio del 2016, le azioni degli istituti sono crollate mediamente del 60%, riprendendosi piuttosto stabilmente solo dopo la sconfitta del governo Renzi al referendum costituzionale, in previsione di una soluzione pubblica osteggiata dall’ex premier. (Leggi anche: Governo Padoan farà bene all’Italia? Ecco i disastri del ministro)

Un flop dietro l’altro per Padoan

I tragici errori di Padoan non si limitano al salvataggio con perdite a carico di azionisti e obbligazionisti subordinati di ormai 19 mesi fa. Era il gennaio del 2016, quando dopo un braccio di ferro con la Commissione europea porta a caso un pugno di mosche, ma che a suo dire avrebbe risolto definitivamente il problema dei crediti deteriorati: la garanzia pubblica sulle sofferenze cedute o GACS.

Affinché essa non contrastasse con la normativa europea, ovvero non si tramutasse in aiuti di stato, la ferrea commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ottenne che il meccanismo di azionamento e funzionamento di tale garanzia si basasse su criteri di mercato. Non si capisce, però, a questo punto cosa avrebbe potuto fare di meglio lo stato rispetto a soggetti finanziari privati, agendo nel solco delle loro stesse regole.

Il flop dell’iniziativa fu palese e immediato, ma non potendo Padoan ottenere l’agognata “bad bank”, assecondò la nascita del fondo Atlante sin dall’aprile dello scorso anno, partecipato dal sistema bancario, assicurativo e postale nazionale, ma che sin da subito si rivelò sotto-dimensionato e incapace di far fronte alle ricapitalizzazioni necessarie degli istituti più deboli e allo smaltimento delle loro sofferenze. Il flop fu conclamato dagli aumenti disertati dal mercato delle due banche venete salvate nel fine settimana trascorso, segno che l’iniziativa orchestrata da Via XX Settembre non era stata in grado di fare attecchire alcuna fiducia tra gli investitori. (Leggi anche: Crisi banche italiane, fiducia scarsa)

Passano i mesi e il caso MPS si fa sempre più drammatico, ma il governo Renzi si mostra indisponibile a prendere di petto la situazione, temendo le ire degli elettori, specie per una banca nei guai per i disastri provocati da manager di nomina diretta di amministratori locali del PD. La banca toscana è l’unica ad essere bocciata negli stress-test pubblicati a fine luglio dalla BCE, la quale richiede un aumento di capitale di 6,6 miliardi di euro, conto che salirà a 8,8 miliardi a dicembre.

Padoan si è rivelato un disastro

Dal dicembre scorso, le azioni MPS sono sospese dalle negoziazioni in borsa, dopo che il governo ha varato il decreto da 20 miliardi per garantire gli istituti in difficoltà, in attesa dell’implementazione di un piano di salvataggio per Siena.

Il resto è cronaca di questi sei mesi, con le banche venete ad occupare ogni giorno di più le prime pagine dei giornali per la crisi sempre più irreversibile in cui sono sprofondate, mentre il governo invia a Bruxelles un confuso Padoan, che presenta ai commissari piani non chiari su come mettere in sicurezza i nostri istituti, con l’unico reale obiettivo di salvare la faccia e il consenso, evitando di gravare sugli obbligazionisti subordinati, oltre che su quelli senior.

La nazionalizzazione delle banche sarebbe stata la soluzione peggiore alla crisi, ma Padoan è riuscito nel miracolo di fare peggio: spendere fior di miliardi per salvarle, senza che lo stato ne abbia il controllo, non potendo sperare nella cessione futura a prezzi più elevati e a ristoro delle perdite caricate sui contribuenti. Anzi, la sua politica del calcio al barattolo ha esitato un conto ancora più salato di quanto non fosse pochi mesi fa.

E dire che Padoan in questo governo rappresenta l’ala “tecnica”, quella che dovrebbe portarvi la sua esperienza di economista internazionale come valore aggiunto da affiancare alla gestione più politica dei dossier economici. Si è rivelato un disastro senza precedenti, almeno in tempi recenti, vuoi per incapacità propria di comprendere la gravità della crisi, vuoi per compiacenza verso l’ex premier e attuale segretario del PD, Matteo Renzi. In ogni caso, una figura così inadeguata al ruolo, che fa davvero senso che la maggioranza non abbia ancora capito che una delle principali cause delle sue sconfitte elettorali accusate l’una dietro l’altra nell’ultimo anno è data proprio da un ministro dell’Economia bravo solo a “gonfiare” le previsioni sulla crescita. (Leggi anche: L’immobilismo del debole Padoan paralizza la già ferma Italia)