Lo scontro a distanza tra il PD e il potenziale premier del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, si è concentrato nelle scorse ore su una battuta del grillino sulle dichiarazioni del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, secondo cui a Bruxelles avrebbero chiesto di capire l’evoluzione del quadro politico-istituzionale e si guarderebbe con una certa preoccupazione alla nostra stabilità. Il 31-enne di Pomigliano d’Arco non ha gradito e ha definito il ministro un “avvelenatore di pozzi”. Il PD ha fatto quadrato attorno al proprio neo-eletto esponente, definendo “vergognose” le offese di Di Maio per bocca del reggente Maurizio Martina.

Al contrario, Padoan non ha replicato piccato e poco fa ha sostenuto di avere lasciato al prossimo governo un’economia in crescita e una situazione dei conti pubblici molto migliorata.

Aldilà della querelle politica tra uno dei vincitori di queste elezioni e il più grande sconfitto – il PD – sarebbe opportuno approfondire la figura di Padoan, che non esageriamo nell’affermare che dovrebbe oggi trovarsi sul banco degli imputati nel partito, anziché essere difeso a spada tratta, come se fosse mai stato un suo valore aggiunto. L’uomo è riuscito nel mezzo miracolo di vincere nel collegio “caldo” di Siena contro il leghista Claudio Borghi, pur di pochi punti percentuali. Trattavasi di un seggio sicuro, ma visto il disastro elettorale generale del PD, l’esito positivo non è stato affatto scontato. Il punto è che Padoan è stato concausa determinante per l’affossamento dei democratici alle urne. Il giudizio può apparire ingeneroso, ma risulta fondato.

Il Def di Padoan non vale nulla, ma ecco perché porterebbe allo scontro con l’Europa

Padoan è ministro dell’Economia dal febbraio 2014, mese in cui Matteo Renzi lo volle con sé al suo ingresso a Palazzo Chigi. Contrariamente ai predecessori, egli si distingue subito per una linea accomodante verso il premier, anche se si è scritto più volte di forti scontri dietro le quinte con l’ingombrante fiorentino.

Fu lui a mettere nero su bianco gli 80 euro del bonus Irpef, che valsero il trionfo del PD alle elezioni europee del maggio 2014 (40,8% dei voti). Per questo, il gotha industriale e finanziario quasi sperò di avere trovato finalmente un uomo capace di coniugare le ragioni dei conti pubblici con quelle della crescita, e del consenso.

La pessima gestione della crisi bancaria

Tuttavia, Padoan si mostra più che artefice un esecutore materiale delle indicazioni impartite da Palazzo Chigi. In un certo senso, è giusto che fosse così, non possedendo il Tesoro quella legittimazione politica diretta di cui gode il premier. Ma se oggi definiamo Renzi causa del fallimento del PD, non si vede perché dovremmo essere più cauti con il suo ex braccio destro, rimasto in sella persino dopo la sconfitta del “sì” al referendum costituzionale, che ha dimostrato piuttosto esplicitamente in varie occasioni di avere pasticciato sin troppo su temi clou. Uno di questi riguarda le banche, la cui degenerazione della crisi è stata forse la ragione principale del tracollo del PD.

Padoan non ha compreso in tempo la portata della crisi bancaria, minimizzandola in pubblico fino al novembre del 2015, quando in un apparente anonimo fine settimana, d’intesa con la Banca d’Italia salvò quattro banche minori, ovvero Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti. Le modalità di quel salvataggio furono anomale e devastanti: applicazione anticipata del “bail-in”, disciplina entrata in vigore dal 2016, con coinvolgimento nelle perdite anche degli obbligazionisti subordinati, i cui titoli sono stati azzerati, insieme alle azioni. E i crediti deteriorati dei 4 istituti furono appioppati alle “bad banks”, collocate sotto il controllo pubblico, al 17,5% del loro valore nominale, segnalando ai mercati che quel quasi 45% a cui gli Npl risultavano ancora iscritti mediamente nei bilanci delle banche italiane fosse una percentuale elevata e non in linea con i valori reali.

Di lì, crolli in borsa dei titoli bancari, fuga dalle obbligazioni subordinate e l’avvio della ricerca di una soluzione da parte di Padoan, che per un anno passerà per espedienti tutti rivelatisi fallimentari, dalla garanzia sulle cessioni degli Npl (Gacs) alla nascita del Fondo Atlante, mentre MPS perdeva in borsa fino al 90% in pochi mesi e le due banche venete sprofondavano in una crisi che ha quasi trascinato nel baratro anche i colossi nazionali come Unicredit.

Crisi banche, tutti gli errori del tragico Padoan

Né austerità, né crescita con Padoan

Solo con Paolo Gentiloni premier si è avuta una soluzione credibile alla crisi, opinabile che sia stata nei modi, segno che Padoan non fosse riuscito a farsi valere con Renzi nei mesi precedenti. Nel frattempo, l’economia ha ripreso a crescere, ma ai ritmi più bassi di tutta Europa, trainata solamente dalla buona congiuntura internazionale. A fine 2017, l’economia italiana mostrava un pil inferiore del 5,6% rispetto ai livelli pre-crisi, unica tra le grandi avanzate del mondo. L’occupazione aveva segnalato un timido miglioramento già dal 2014, ma resta il fatto che da allora risulti creato un milione di posti di lavoro, di cui ben il 60% a termine. Il tasso di disoccupazione rimane, invece, intorno all’11%, nettamente sopra la media dell’Eurozona dell’8,6%. E tra i giovani (15-24 anni), uno su tre è alla ricerca di un lavoro, tra le percentuali più alte di tutta Europa. Di fatto, l’Italia e la Grecia appaiono le uniche due economie nell’area a non offrire spunti significativamente positivi sull’occupazione.

E i conti pubblici? Padoan trovò un rapporto deficit/pil poco inferiore al 3% e lo avrebbe lasciato a poco meno del 2%, -1% in 4 anni. Sembra poco, ma il bello è che tale miglioramento non è nemmeno dovuto a una migliore gestione fiscale, quanto alla riduzione della spesa per onorare il debito pubblico, ridottasi di circa l’1% all’anno negli ultimi 5 anni, specie a seguito del varo del “quantitative easing” della BCE.

Dunque, né austerità, né crescita. Risultati a dir poco deludenti, a cui Padoan non può sfuggire con una battuta, essendo a capo del Tesoro da oltre 4 anni. Egli resta l’uomo delle continue richieste di flessibilità a Bruxelles e delle politiche dei bonus a Roma, non avendo impresso alcuna direzione precisa alla nostra economia, limitandosi a sperperare miliardi di euro per misure propagandistiche, volute dal PD e da lui eseguite senza un’efficace opposizione. Paradossale che l’uomo venga premiato con un seggio in Parlamento, quando è stato l’artefice della disfatta dem. Sarebbe ingeneroso addossare ogni responsabilità a Renzi. Se di errori ne ha potuti commettere parecchi da premier, è anche a causa di un ministro dell’Economia, che non si è rivelato all’altezza della sfida. Figura modesta, incensata oltre ogni merito dai media, ma che non lascerà alcuna impronta in Via XX Settembre.

Il Def geniale di Padoan: meno crescita, false privatizzazioni e conti col trucco

[email protected]