In data 4 ottobre, l’assemblea dei soci di Banca Monte Paschi di Siena (MPS) ha approvato il progetto di scissione parziale non proporzionale, che prevede l’assegnazione agli azionisti di MPS di azioni AMCO in misura non proporzionale alle partecipazioni detenute. AMCO è la società controllata dal Tesoro, che acquisirà crediti deteriorati della banca per 8,1 miliardi di euro. L’operazione si traduce nei fatti in un aumento di capitale di AMCO, attraverso le adesioni dei soci di minoranza di MPS. Questi hanno fino a martedì 20 ottobre tre scelte.

Vediamole.

  1. La prima opzione consiste nell’aderire all’aumento, acquisendo azioni AMCO secondo il seguente concambio: 0,40 azioni AMCO per ogni 1 azione MPS posseduta e che successivamente verrebbe annullata;
  2. La seconda opzione consiste nell’esercitare il diritto di recesso, che così come per la vendita prevede il pagamento di 1,339 euro per ciascuna azione MPS posseduta;
  3. Esercizio della cosiddetta opzione asimmetrica, in base alla quale si potranno richiedere nuove azioni MPS, così da accrescere la partecipazione nella banca.

Il prezzo di vendita e di recesso di 1,339 euro è stato determinato con riferimento al valore medio di borsa delle azioni MPS nei sei mesi precedente la comunicazione di convocazione dell’assemblea dei soci, avvenuta in data 4 settembre 2020.

Nuove obbligazioni MPS con rendimento 8,5%, ordini per 1 miliardo

I rischi delle opzioni

Tutte e tre le opzioni presentano rischi. Effettuare il concambio consentirà all’azionista di MPS di diventare azionista di AMCO, ma senza avere diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie. Inoltre, la società controllata dal Tesoro non è quotata in borsa, per cui si entrerebbe in possesso di un titolo illiquido, difficilmente rivendibile nel caso in cui si volesse uscire dal capitale.

L’esercizio del diritto di recesso, invece, consentirebbe all’azionista di monetizzare dal possesso delle azioni MPS, ma potenzialmente si perderebbe la possibilità di rivendere in futuro il titolo a prezzi più alti.

Se, poi, lo si era acquistato a prezzi maggiori di quello di recesso, si subirà una perdita. Va detto, però, che ieri il titolo a Piazza Affari quotava a 1,24 euro, quasi 10 centesimi in meno del prezzo di vendita/recesso. Infine, aumentare le esposizioni in MPS con l’acquisto di nuove azioni espone alla volatilità del titolo in futuro.

A quest’ultimo riguardo, bisogna ammettere che l’orizzonte per MPS non sia così limpido. Entro il 2021, il Tesoro dovrà cedere la sua quota del 68,3%, sebbene stia trattando con la Commissione per rinviare al 2022 la sua uscita dal capitale, date le condizioni di mercato sfavorevoli in questa fase. Già con l’operazione in corso, la quota pubblica dovrebbe scendere fino a un minimo del 63,879%. Ciò avverrebbe nel caso in cui tutti gli azionisti di minoranza optassero per richiedere nuove azioni MPS. In quel caso, a doverle annullare proporzionalmente sarebbe proprio lo stato.

I prestiti a rischio di MPS continueremo a pagarli noi italiani, ecco i numeri

Unicredit con Padoan punta alla fusione?

Non c’è alcun investitore attualmente interessato a rilevare la banca senese, ragione per cui con l’avvicinarsi della data entro cui il Tesoro dovrà ri-privatizzarla, le azioni potrebbero perdere ulteriormente di valore. Come se non bastasse, a copertura di parte delle perdite per 1,1 miliardi accusate con la cessione dei crediti deteriorati, la Commissione UE ha imposto l’emissione di nuove obbligazioni subordinate per un controvalore non inferiore a 250 milioni di euro.

Su MPS potrebbe aprirsi un nuovo capitolo. L’altro ieri, l’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è stato nominato presidente di Unicredit. L’economista era stato eletto deputato nel 2018 proprio nel collegio di Siena, dove ha sede la banca. Non sono in pochi a dubitare che si trattai di una pira coincidenza.

Chissà che a Piazza Gae Aulenti non abbiano voluto segnalare la disponibilità a trattare una possibile fusione con MPS, avvalendosi dell’esperienza di un uomo, che da capo del Tesoro nazionalizzò l’istituto e si occupò della sua crisi nella fase iniziale. Chi meglio di Padoan conoscerebbe tutti gli aspetti finanziari, ma anche giuridici e politici della vicenda?

La s-vendita di MPS a Unicredit non esisterebbe e costerebbe agli italiani fino a 20 miliardi

[email protected]