Roadshow all’estero cancellati, capitalizzazione massima attesa in ribasso, quotazioni secondarie presso le borse straniere non pervenute. L’IPO di Aramco non sta andando secondo i piani. Anzitutto, il prezzo. Il regno saudita punta a emettere 3 miliardi di azioni a 30-32 rial ciascuna, cioè incassando fino a un massimo di 96 miliardi per l’1,5% del capitale quotato in borsa, pari a 25,6 miliardi di dollari. Nel complesso, quindi, la compagnia più profittevole al mondo e capace teoricamente di estrarre fino a 12 milioni di barili al giorno verrebbe valutata non oltre i 1.700 miliardi, meno dei 2.000 inizialmente pretesi dal Principe ereditario Mohammed bin Salman, che aveva indicato quella soglia come un riferimento apparentemente scolpito sulla roccia fino a pochi giorni fa.

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E proprio in virtù di un riscontro sul mercato meno caloroso delle attese, l’IPO non avrà ad oggetto il 5% del capitale con incassi stimati per 100 miliardi, bensì meno di un terzo e con incassi attesi adesso a circa un quarto. Eppure, Aramco ha fruttato nel 2018 un utile netto di 111,1 miliardi e ha promesso di distribuire almeno 75 miliardi all’anno per i prossimi 5 anni. In teoria, sarebbe la gallina dalle uova d’oro verso cui tutti gli investitori istituzionali dovrebbero correre per ottenerne un pezzettino. Cosa non va?

Perché IPO Aramco non scalda il mercato

Come dicevamo, nessuna quotazione secondaria all’estero. Si era speculato di Londra, New York e Hong Kong, mentre adesso sappiamo con certezza che per il momento l’unica quotazione sarà casalinga, al Tadawul di Riad. E questo è un problema. La borsa saudita ha una storia di appena 12 anni e solamente dal 2015 ha aperto alla finanza straniera. Non solo c’è scarsa fiducia verso questa piazza finanziaria semi-ignota, ma oltre tutto le contrattazioni sarebbero a rischio liquidità, come riconosce lo stesso prospetto informativo in allegato all’IPO, che parla di possibili chiusure quotidiane ritardate per gli scambi, non escludendosi bassi volumi negoziati.

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Più in generale, il mercato mostra di nutrire scarsa fiducia verso le istituzioni saudite, che negli anni recenti hanno dato vita a una sorta di caccia al corrotto, che ha visto centinaia di magnati locali, qualcuno persino della stessa Famiglia Reale, diventare oggetto di presunte torture e taglieggiamenti, con tanto di decurtazione dei patrimoni accumulati. L’assassinio di Khemal Khashoggi, oppositore dei Saud, all’ambasciata saudita in Turchia di un anno fa ha scosso l’opinione pubblica e ha frenato l’afflusso dei capitali verso il regno, proprio mentre questo ambiva ad attirarne il più possibile per dare seguito alla “Vision 2030” svelata dal principe ereditario e che punta alla diversificazione in tempi veloci dell’economia.

I proventi del petrolio a questo servirebbero, a rendere le estrazioni meno determinanti per la sopravvivenza economica e finanziaria dell’Arabia Saudita. Tuttavia, le tensioni con l’Iran stanno remando contro. L’attacco subito da Aramco per mezzo di un drone inviato da Teheran a settembre ha spaventato gli investitori. Esso ha dimostrato quanto vulnerabili siano le infrastrutture saudite, nel caso di escalation dei conflitti nel Golfo Persico. Metà della produzione è rimasta intaccata per settimane, provocando alterazioni alle quotazioni internazionali. E, infine, la monarchia metterà le mani sulla compagnia se continuerà ad avere bisogno di entrate per coprire i deficit di bilancio?

Anche le obbligazioni Aramco hanno ripiegato dopo l’emissione

Ad oggi, i dati ci dicono che il canale retail ha sottoscritto azioni per 21,77 miliardi di rial o 7,21 miliardi di dollari. Avrà tempo fino a domani per fare richiesta delle azioni Aramco, aperte anche “alle donne vedove e divorziate da uomini stranieri e con figli, purché dimostrino di esserne le madri e di essere state coniugate”, per cui si presume che la sottoscrizione sarebbe preclusa alle donne single del regno.

E Abu Dhabi Investment Authority, che gestisce assets per 800 miliardi di dollari, ha annunciato che parteciperà all’IPO con un’offerta da 1,5 miliardi. Alla fine, il flop vero e proprio verrà evitato e sarà un bene così, altrimenti i mercati inizieranno a chiedersi se abbia senso investire altrove, dopo che l’azienda più capitalizzata e profittevole al mondo sia stata snobbata.

Di certo c’è, però, che Riad dovrà accontentarsi di numeri inferiori ai suoi desideri e che la robustezza patrimoniale e l’efficienza gestionale della compagnia di per sé non siano bastate per attirare capitali. La monarchia assoluta non viene considerata una governance accettabile per molti investitori, che ne temono il dirigismo sulle questioni attinenti al mercato petrolifero e la scarsa cultura liberale in tema di investimenti finanziari. E dire che a inizio anno, le prime emissioni obbligazionarie di Aramco andarono a ruba, con richieste per oltre 8 volte l’importo offerto, sebbene dall’avvio delle negoziazioni i titoli non ebbero la stessa fortuna. Come dire che il mercato riterrebbe preferibile essere creditore del regno, non suo socio.

Obbligazioni Aramco tutte in calo a 5 settimane dall’emissione

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