Il Trattato di Aquisgrana segna l’inizio della fine dell’Unione Europea. La firma di Francia e Germania per rinnovare l’intesa di 56 anni fa siglata all’Eliseo dal presidente Charles De Gaulle per la prima e il cancelliere Konrad Adenauer per la seconda appare a tutti gli effetti come la definitiva creazione senza più indugi di un asse franco-tedesco per dare vita a un nuovo ordine mondiale, rimettendo in discussione la stessa essenza delle istituzioni comunitarie così come le avevamo concepite.

L’intesa prevede quanto segue: abbattimento di ogni ostacolo economico e normativo per la creazione di uno spazio comune tra i due stati; integrazione sul piano della difesa; impegno della Francia a far sì che la Germania diventi membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU; invio di rispettivi rappresentanti ai consigli dei ministri del governo altrui; istituzione di un Parlamento franco-tedesco di 100 membri.

Gli obiettivi contenuti nel testo solennemente firmato ieri da Angela Merkel ed Emmanuel Macron appaiono raggelanti dal punto di vista della UE. Francia e Germania sembrano avere gettato la maschera, confermando nero su bianco che intendo formare un duetto per cercare di gestire le istituzioni comunitarie e l’economia nel Vecchio Continente da sole. La sostanza di questi decenni ha trovato finalmente una forma con cui esprimersi. Se finora era chiacchiericcio, adesso è diventata realtà inoppugnabile, in quanto sotto gli occhi di tutti: francesi e tedeschi puntano a fare della UE un loro giocattolo con cui impartire ordini al resto degli stati membri.

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I reciproci vantaggi di Francia e Germania

La Germania, in particolare, consapevole della propria arretratezza militare, causata da un settantennio di embargo e da una conseguente spesa per la difesa cronicamente bassa, si avvarrà della collaborazione con l’esercito francese, considerato il quarto al mondo per potenza.

E da Parigi otterrà anche l’aiuto per entrare nelle stanze dei bottoni del Palazzo di Vetro, a riconoscimento della sua posizione politica primaria nel panorama internazionale. A sua volta, Berlino concederà alla Francia la discussione di ogni tematica relativa all’ambito economico (e non solo) su un piano paritetico, per mezzo dell’istituzione di organismi e momenti comuni, come il Parlamento franco-tedesco e le riunioni dei consigli dei ministri partecipate dai membri dell’altro governo. In questo modo, nelle intenzioni tedesche, si darebbe sfogo alle perplessità crescenti in Francia sul progetto dell’euro e della UE, riconducendole in seno a un dibattito e un quadro istituzionale più ordinati, mentre i francesi sperano di rendere i tedeschi più inclini a concordare la loro visione e a coinvolgerli in maniera totale in ogni ambito sensibile sul piano economico, finanziario e di politica internazionale.

All’interno della UE si sta per creare una mini-UE o quello che un paio di anni fa la stessa Merkel a Malta si fece sfuggire essere l’obiettivo di un “club di serie A”, che rispetto a quello di serie B sarebbe caratterizzato da una crescente integrazione politico-economica. Il progetto fu criticato per il rischio insito, ovvero di frantumare ulteriormente la UE e l’Eurozona. Si percepì in esso anche il desiderio di dare vita a un doppio euro, con quello forte ad essere la moneta condivisa dagli stati membri più finanziariamente solidi e disponibili a cedere maggiori quote di sovranità, mentre quello più debole riguarderebbe grosso modo gli stati del sud, cioè Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Malta e Cipro.

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Il progetto che aliena il resto della UE

Dopo la vittoria di Macron alle presidenziali del maggio 2017, del doppio euro o euro a due velocità non se ne parlò più.

Superato il rischio di una Francia nelle mani di una presidenza euro-scettica, l’Eliseo si è fatto interprete delle istanze di maggiore integrazione politica, ma accolte con estrema freddezza dal governo di Berlino, il quale chiede a priori rassicurazioni sul fatto che l’unione non sia dei debiti. Da qui, l’impasse fino a ieri, quando la Germania potrebbe avere trovato il modo per andare incontro a Macron, ma senza cedere di un millimetro sul terreno della condivisione dei rischi e degli oneri nell’Eurozona: un’integrazione con la sola Francia, seconda economia del continente, a cui potrebbero aggiungersi altri membri forti del nord e della Mitteleuropa, come Olanda, Belgio, Austria e Finlandia. E gli altri? Resterebbero nella UE, ma in una posizione di subordinazione rispetto al club ristretto appena nato dal duo.

Alla luce di quanto stia accadendo appare più che comprensibile l’atteggiamento del Regno Unito, che proprio intuendo la china verso cui stesse scivolando la UE, decise con referendum nel 2016 di uscirsene, avviando quel processo ancora in corso e reso faticosissimo proprio dall’atteggiamento ostruzionistico dei commissari di Bruxelles, noto come “Brexit”. Non solo il Trattato franco-tedesco rischia di alienare altri stati, a partire da Ungheria e Polonia ad est e l’Italia a sud; esso esacerberà ulteriormente gli animi nell’unione monetaria, rendendo ancora meno facile la convivenza sotto l’euro. Il riflesso immediato della firma di Aquisgrana sarà indubbiamente la spartizione delle principali cariche europee tra i due contraenti. La Germania vuole mantenere ed espandere il controllo sulla sfera fiscale, mentre dalla Francia pretende rassicurazioni su quella monetaria, nel caso in cui concedesse a Parigi la nomina del successore di Mario Draghi.

A Macron serve più che mai segnalare ai mercati di essere un tutt’uno con la Germania, ora che la sua agenda riformatrice è più che mai percepita in dubbio, anche se sappiamo tutti quanto l’economia francese versi in condizioni profondamente differenti da quella tedesca, caratterizzata da abnormi livelli di spesa pubblica, alto debito totale, incrostazioni corporative come in nessun altro stato europeo, saldi commerciali e correnti cronicamente passivi e un’industria meno forte e internazionalizzata.

Egli è il primo ad avere percepito, specie con le proteste vivaci in corso da mesi dei “gilet gialli”, che il consenso politico verso l’eurocrazia sarebbe a rischio proprio nella sua Francia, ragione per cui bisogna creare condizioni ancora più irreversibili per salvare l’euro e il progetto europeista, inteso nell’accezione di cui sopra. Quand’anche la moneta unica dovesse sparire, Parigi si sarebbe appena assicurata la sopravvivenza finanziaria contro i temuti scossoni, restando legata all’euro-marco. E il Trattato, in effetti, non farà che “ingabbiare” Parigi all’interno di nuove strutture e nuovi impegni comuni con Berlino, rendendo quasi impossibile persino per un eventuale successore euro-scettico tornare indietro. Marine Le Pen è avvisata.

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