Signori, tutto il mondo è paese. Chi avesse ancora dubbi al riguardo sarebbe bene che si ricordasse che nel giro di meno di 5 anni abbiamo assistito allo scandalo delle emissioni inquinanti di Volkswagen, ai magheggi contabili mal riusciti di Deutsche Bank con annesse vere truffe ai danni del mercato e sanzionate dalle autorità, mentre è di questi giorni il caso Wirecard, con 1,9 miliardi di euro “spariti” nel nulla, anzi non sarebbero mai esistiti, come hanno lasciato intendere i manager della società dei pagamenti elettronici.

Cosa hanno in comune questi fatti? Sono tutti “made in Deutschland”.

Scandalo Wirecard: azioni crollate, spariti 2 miliardi e una giovane di è arricchita

Wirecard equivale al caso Parmalat o a quello dell’americana Enron di inizio millennio. Quante recriminazioni ai danni del sistema finanziario e dei controlli italiano e quante volte dal Nord Europa ci hanno puntato il dito, come per dire che siamo pur sempre quelli dell’“italian job”? Ma i casi di vera truffa si moltiplicano nel cuore di questa Europa bacchettona dalle analisi a senso unico, perché stavolta la Germania l’ha fatta grossa. Non solo una società avrebbe gonfiato i bilanci per anni con ricavi fasulli contabilizzati in Asia, ma governo e autorità di controllo l’avevano difesa contro gli attacchi dall’estero.

Un anno fa, il Financial Times aveva acceso i fari sui presunti falsi in bilancio di Wirecard e per tutta risposta la BaFin, la Consob tedesca, aprì un’indagine a carico del quotidiano per “manipolazione del mercato” e non della società accusata. Quasi un anno e mezzo dopo, i controllori tedeschi sono costretti ad ammettere di avere preso lucciole per lanterne. Il caso arriva in un momento delicato per la credibilità del sistema teutonico, con la compagnia aerea Lufthansa che rischia di restare per sempre a terra. Il salvataggio dello stato è a rischio per l’opposizione dell’azionista di maggioranza relativa, tale Hermann Thiele, al piano del governo, il quale a suo dire diluirebbe eccessivamente la sua quota, depotenziandolo.

Fase delicata per Berlino

Poiché ad essersi iscritti per votare all’assemblea dei soci per l’approvazione del “bailout” è stato appena il 38% del capitale, servendo il via libera di almeno il 25% del capitale medesimo, in assemblea il voto di Thiele sarà determinante con il 15% detenuto. Se anche tutti gli altri votassero a favore, il salvataggio non passerebbe. Per questo, l’uomo è stato convocato dal governo al fine di trovare una soluzione. In ogni caso, l’onnipotenza della cancelliera Angela Merkel scricchiola, quando parte dell’opinione pubblica si chiede se sia capace di difendere gli interessi dei contribuenti tedeschi dai rischi di monetizzazione e condivisione dei debiti nell’Eurozona alimentati dalla BCE, che con i suoi programmi di acquisto di assets sta nei fatti mantenendo in vita i governi “spendaccioni” come l’Italia.

La Corte di Karlsruhe ha assegnato all’istituto 90 giorni di tempo per chiarire se tali acquisti stiano rispettando il principio di proporzionalità contenuto nei Trattati, ma da Francoforte non giungono ad oggi segnali di una qualche risposta. L’ultimatum scadrà il prossimo 5 agosto e in assenza di una risposta (convincente), la Bundesbank dovrebbe ritirarsi dal “quantitative easing”, minacciando la stessa architettura dell’euro. Non si arriverà a tanto, lo sappiamo, ma il clima non è dei migliori tra Germania e BCE e il caso Wirecard carica i “falchi”, i quali possono eccepire che questi acquisti di fatto illimitati nel tempo e divenuti giganteschi stiano foraggiando speculazione finanziaria e cattive pratiche del credito.

Perché la Germania dovrà accettare una BCE sempre più interventista per salvare l’euro

Nuove tensioni tra BCE e Germania

La società guidata fino a qualche giorno fa dall’ormai ex ad agli arresti e fondatore Markus Braun è esposta per miliardi di euro verso numerose banche, non solo tedesche.

Queste rischiano di perdere tutti i loro crediti nello scenario peggiore, ma ormai poco importa al sistema bancario mostrarsi efficiente e oculato nel prestare denaro, tanto ci pensa sempre la BCE a mettere a posto le cose con maxi-iniezioni di liquidità a costi divenuti negativi, accrescendo la propensione al rischio. Anzi, in queste settimane si discute persino di creare una “bad bank” europea, che sarebbe il sogno delle banche dell’area, le quali potrebbero scaricare su Francoforte tutte le perdite accusate per effetto dei crediti andati in malora.

Alla BCE resta un mese e mezzo per evitare una crisi insanabile con la Germania

Certo, grossa parte di questi nei prossimi mesi saranno dovuti a una situazione imprevista e imprevedibile e le cui cause extra-economiche sono da individuare nei “lockdown” imposti dai governi per cercare di frenare i contagi. Così come gli stati hanno creato il problema, adesso sono chiamati a non farlo pesare sui bilanci di imprese e banche, oltre che delle famiglie. Ma sarà sempre impossibile capire quali e quanti prestiti non verranno restituiti per colpa del Covid-19 e quanti per cause del tutto slegate dalla pandemia. Inoltre, si autorizza le banche a pensare che una misura eccezionale diverrà ordinaria e sarà replicata a ogni ciclo economico avverso. Insomma, la BCE starebbe incoraggiando gli istituti a finanziare e tenere in vita tante piccole e grandi Wirecard, perché alla fine nessuno paga più per gli errori di valutazione commessi. E la Germania, da correa dei misfatti, avrà buon gioco nel rigirare la frittata, puntando il dito contro quell’Eurotower così tanto italianizzatasi nell’ultimo decennio.

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