A quasi un mese e mezzo dalla sentenza della Corte Costituzionale tedesca, la Bundesbank ha preso finalmente la parola sul delicato tema della proporzionalità degli acquisti di assets condotti con il “quantitative easing” (PSPP, nel linguaggio formale). Lo ha fatto tramite il governatore Jens Weidmann, il quale si è detto convinto che alla fine si troverà un compromesso tra la necessità di salvaguardare il principio di indipendenza della politica monetaria e quella di garantire alla Germania che questa venga condotta entro i parametri costituzionali tedeschi.

Tuttavia, in una lettera inviata al deputato liberale al Bundestag, Frank Schaeffler, egli ha anche aggiunto che “la Bundesbank non è un organo puramente esecutivo della BCE, bensì soggetta al diritto tedesco”.

Germania al test dell’euro: dovrà scegliere tra BCE e Costituzione

Parole come pietre, che segnalano un certo nervosismo che serpeggia negli ambienti politici e istituzionali in Germania, dopo che i giudici di Karlsruhe, con una sentenza emessa il 5 maggio scorso, avevano assegnato alla BCE 90 giorni di tempo per chiarire sul rispetto del principio di proporzionalità degli acquisti, intimando altrimenti alla Bundesbank di cessarli e di rivendere gli assets a bilancio. Weidmann sembra proprio avvertire che questo sarebbe lo scenario concreto, nel caso in cui una risposta alla Corte non arrivasse o ne arrivasse una poco convincente.

Il difficile rapporto tra BCE e Karlsruhe

Quando siamo a metà del periodo di ultimatum, l’istituto guidato da Christine Lagarde non ha ufficialmente esitato alcuna risposta, anzi informalmente sono arrivati commenti critici e caustici contro la sentenza nei giorni successivi alla sua emanazione. Da Francoforte è stato fatto intendere che la Germania resti sottoposta alla giurisdizione della Corte di Giustizia UE e non possa pretendere un trattamento speciale rispetto ai partner dell’euro. Ma se i 90 giorni decorressero infruttuosamente, cosa farebbero davvero i tedeschi?

La sentenza tedesca contro la BCE è una bomba lanciata contro l’euro

Ecco, a Berlino si ragiona di questo.

La BCE non avrebbe voglia di sottomettersi a Karlsruhe con la pubblicazione di un comunicato ad hoc e teso a sventare quello che essa avverte essere il frutto di un capriccio accademico. D’altra parte, se non lo facesse rischierebbe di provocare una gravissima frattura nell’unione monetaria, con la Bundesbank a uscire dal QE, cessando gli acquisti di Bund e, anzi, iniziando a venderli su ordine della Corte. Sarebbe un dramma per l’euro, perché per quanto il QE, insieme agli altri interventi messi in campo in questi mesi per sostenere la liquidità sui mercati, proseguirebbe il suo cammino, la vicenda verrebbe percepita quale l’anticamera di una dissoluzione della moneta unica. Infurierebbe una gravissima tempesta finanziaria ai danni dei bond dei paesi economicamente più deboli come l’Italia.

Molto probabile che si arrivi a una soluzione che salvi forme e sostanza. La BCE potrebbe limitarsi a un’annotazione a margine del prossimo board di luglio, in tempo per rientrare nei 90 giorni. Il tutto volutamente senza fretta, quasi a segnalare di non avere timore di Karlsruhe e per mettere i puntini sulle “i” su chi comandi in politica monetaria. Qualsiasi cosa scriverà, la Germania fingerà che le vada bene, dal Bundestag al governo, finendo proprio con la Corte. Ci saranno i classici mal di pancia tra le frange conservatrici della politica tedesca, ma tutti se ne faranno una ragione. Questo impone la razionalità. Oltre tutto, alimentare tensioni durante la fase economica più difficile dal Secondo Dopoguerra sarebbe da sciagurati. E la Germania, da azionista di maggioranza di questa baracca sgangherata di nome UE, non ci pensa a far saltare tutto in aria.

Il baratto con il Recovery Fund

E se la BCE decidesse di non inchinarsi alla Corte tedesca? Volendo escludere lo scenario paventato da Weidmann, che per quanto estremo verrebbe automaticamente a presentarsi quale concreto, dovremmo ipotizzare che la Germania finga al suo interno che non sia accaduto niente.

Invece, le opposizioni avrebbero buon gioco a recriminare contro la Grosse Koalition, notando come essa abbia acconsentito all’umiliazione politica dei tedeschi, di fatto ignorati dalla banca centrale che emette gli euro. Il dibattito s’infuocherebbe e il clima diverrebbe molto meno positivo per il “Recovery Fund”, già percepito nella Mittel- e nel Nord Europa come una prima forma di condivisione dei debiti tra gli stati dell’euro.

Ecco perché il baratto politico in corso potrebbe essere proprio questo: ok della Germania al fondo con meccanismi di erogazione dei prestiti e degli aiuti a condizioni “morbide”, in cambio di una risposta soddisfacente della BCE a Karlsruhe. Lagarde non si pronuncerà fino a quando non avrà ottenuto l’approvazione esplicita e formale del fondo, mentre a sua volta la cancelliera Angela Merkel non deporrà l’ascia di guerra sugli aiuti, in assenza di rassicurazioni credibili della prima. Se la BCE bluffasse, ci penserebbero gli alleati olandesi, austriaci, danesi, svedesi e persino slovacchi dei tedeschi a impallinare il fondo, creando scompiglio nell’Eurozona e rendendo molto più difficile la vita a Francoforte. Perché la sola politica monetaria contro la crisi non basta.

Perché la Germania dovrà accettare una BCE sempre più interventista per salvare l’euro

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