Proviamo a immaginare per un attimo che la BCE non risponda alla richiesta della Corte Costituzionale tedesca, che martedì scorso le ha assegnato tre mesi di tempo per chiarire i termini dell’espletamento del suo mandato, ovvero se stia adempiendo al principio di proporzionalità negli acquisti di assets condotti con il “quantitative easing” ed eventualmente in che modo. Francoforte avrà due possibilità: rispondere, preferibilmente in tempi brevi, così da eliminare le incertezze; ignorare la sentenza, forte della copertura legale assegnatale dalla Corte di Giustizia UE.

Nel primo caso, i giudici di Karlsruhe potranno o definirsi soddisfatti o continuare ad eccepirne le lacune, costringendo la Bundesbank ad uscire dai programmi monetari dell’Eurotower, così come nel secondo caso, ovvero in assenza di una risposta.

La sentenza tedesca contro la BCE è una bomba lanciata contro l’euro

Se la Bundesbank si trovasse costretta a non adempiere al QE, dovrebbe cessare gli acquisti di Bund e al contempo iniziare almeno a delineare i tempi di una loro rivendita sul mercato secondario, perché così le impone la Corte. Ora, mentre quasi certamente la Germania non rischia alcuna crisi dello spread, data la natura di “safe assets” dei suoi bond – anzi, gli investitori li comprerebbero anche più di oggi sulle tensioni politiche e finanziarie che una simile decisione comporterebbe – d’altra parte il passo compiuto sarebbe pesante. Non partecipando più ai programmi della BCE, essa ne perderebbe di fatto il controllo. E se c’è una cosa che l’opinione pubblica e l’establishment tedeschi non accetterebbero mai sarebbe di delegare le decisioni di politica monetaria a un ente terzo e sfuggente al loro potere di influenza.

Per contro, se la Bundesbank ignorasse l’imposizione dei giudici, si porrebbe fuori dal diritto costituzionale tedesco e sancirebbe il suo definitivo assoggettamento al diritto europeo. E nemmeno questo sarebbe accettato dagli elettori tedeschi, che temerebbero così di perdere gli strumenti di difesa contro l’operato non solo della BCE, ma dell’insieme delle istituzioni europee, potenzialmente dannoso per i loro interessi nazionali.

Nessun partito politico, specie da qui alle prossime elezioni federali, in programma nel settembre 2021, se la sentirebbe di andare contro i sentimenti predominanti tra i tedeschi per ingaggiare una battaglia di difesa della UE nel suo momento più impopolare.

La mossa del KO della BCE

Se la BCE giocasse di astuzia e volesse finalmente essere percepita come una banca centrale realmente indipendente dal potere politico di alcuni suoi stati membri, non farebbe nulla, ignorerebbe la sentenza e farebbe decorrere infruttuosamente i tre mesi. Difficile immaginare che la Bundesbank cessi gli acquisti di Bund e automaticamente si ponga con un piede fuori dall’euro, perché la decisione avrebbe implicazioni geopolitiche ed economico-finanziarie dirompenti. L’euro è stato un grosso beneficio per le imprese tedesche, le quali hanno potuto esportare come mai prima, avvalendosi di una moneta più debole di quanto sarebbe stato il prezioso marco. E ha esteso l’influenza tedesca su numerosi stati-satellite come Olanda, Austria, Slovenia, Finlandia, etc.

Export Germania da record, ma all’Europa non serve mettere in croce la Merkel

E nessun governo ad oggi in Germania avrebbe la forza politica di compiere un passo che metta in pericolo la sopravvivenza dell’Eurozona. In gioco c’è non solo e nemmeno tanto la sua sopravvivenza, quanto quella dell’intero sistema istituzionale ed economico tedesco. Sull’euro l’establishment teutonico ha investito per 30 anni il suo intero capitale e assumersi la responsabilità storica di smantellare l’unione monetaria non sembra un’opzione alla portata. D’altro canto, in assenza di risposta, la Bundesbank dovrebbe conformarsi alle decisioni della BCE senza più fiatare, accettando le votazioni approvate dal board a maggioranza, così come avviene per qualsiasi altra banca centrale nazionale.

In conclusione, nelle prossime settimane avremo l’occasione storica, forse irripetibile, di testare le reali intenzioni della Germania sull’euro. Se, come ipotizziamo, Berlino si limita sempre e solo a fare la voce grossa, ma non immagina di mettere in crisi l’area con azioni irreversibili, la BCE otterrebbe il risultato clamoroso di mettere KO il suo azionista di maggioranza relativa, un fatto che sul piano più generalmente politico avrebbe implicazioni rilevantissime, a partire dall’emancipazione definitiva dell’istituto dalla sfera d’influenza mitteleuropea. A Berlino, finalmente dovrebbero fare i conti tra loro, caduta la maschera dell’ipocrisia che occupa il dibattito pubblico da almeno un decennio a questa parte e che alimenta risentimenti popolari contro il resto d’Europa.

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