Secondo l’ultimo rapporto mensile dell’Abi, la raccolta bancaria a novembre risultava pari a poco più di 1.702 miliardi di euro, in calo di 14 miliardi rispetto al mese precedente, ma in linea con il dato di un anno prima. Di questi, 1.464 sono depositati sui conti. Insomma, liquidità parcheggiata per quasi i tre quarti senza vincoli, libera di essere utilizzata in qualsiasi momento, mentre per poco più di un quarto, meno di 390 miliardi, trattasi di conti deposito. I conti correnti nello stesso novembre hanno esitato il tasso attivo medio per i titolari dello 0,05%, mentre i conti depositi offrivano un più generoso (si fa per dire) 0,39%.

Facendo la media ponderata tra i due rendimenti, si ottiene che gli italiani otterranno su base annua su questi 1.464 miliardi qualcosa come poco più dello 0,1%. In totale, sui 2 miliardi di euro, una cifra di poco superiore allo 0,1% del pil; e al lordo dell’imposta del 26%, senza considerare le imposte di bollo che gravano sui conti e che sono pari alla somma fissa di 34 euro all’anno per le giacenze superiori ai 5.000 euro sui conti correnti e allo 0,2% sui conti deposito.

Conti bancari sotto 100.000 euro davvero sicuri da un prelievo forzoso?

A conti fatti, le sole imposte di bollo si mangiano tutto l’interesse lordo percepito dai risparmiatori italiani, gettito che va a finire nelle casse dello stato, il quale infierisce ulteriormente con l’applicazione dell’imposta del 26%. Questa sostanzialmente va a gravare su una base imponibile solo teorica. Pur non tenendo in considerazione questi aspetti fiscali, sui quali le banche non hanno alcuna responsabilità, fungendo semmai da sostituto d’imposta, è evidente che il risparmio non venga da anni remunerato a dovere. Quest’anno, il tasso d’inflazione in Italia dovrebbe attestarsi tra l’1,1% e l’1,2%. Per il 2019, il governo ha programmato un tasso d’inflazione dell’1,2%, anche se di questo passo, tra rallentamento dell’economia in corso e crollo delle quotazioni del petrolio ai minimi da circa un anno e mezzo, si potrebbe registrare una crescita tendenziale dei prezzi più bassa delle attese.

Tassi azzerati, risparmi erosi dall’inflazione

Quando si portano i soldi in banca, si punta essenzialmente a conservarne il potere di acquisto; almeno, questo dovrebbe essere l’obiettivo minimo dell’alternativa al materasso. Tuttavia, non solo non sta avvenendo, ma i depositi stanno registrando a tutti gli effetti una erosione in favore delle banche, le quali si mostrano capaci di prestare il denaro raccolto tra i clienti a interessi mediamente superiori all’inflazione, pari al 2,57% il mese scorso. Dunque, immaginando depositi stabili, in un anno le banche pagano ai risparmiatori 2 e incassano dai clienti quasi 36 miliardi in più di interessi. Se i primi richiedessero loro almeno la corresponsione degli interessi a copertura dell’inflazione, dovrebbero ricevere qualcosa compreso tra 16 e 17,5 miliardi, cioè la media di 15 in più di quelli effettivamente ricevuti. In altre parole, parcheggiando denaro in banca, ogni anno i risparmiatori italiani perdono la media proprio di 15 miliardi, in forma di minore potere di acquisto, senza nemmeno conteggiare le imposte da versare al fisco.

Come mai un simile atteggiamento così remissivo da parte degli italiani? La prima risposta più ovvia è che non esistono alternative pratiche immediate. Per quanto le banche non siano quel fortino sicuro che immaginavamo prima del “bail-in”, i conti sono protetti fino ai 100.000 euro e da essi transitano stipendi e pensioni, dal luglio scorso obbligatoriamente da pagare in modalità tracciabile, ossia essenzialmente tramite conto corrente. Pertanto, quell’1% secco perso ogni anno va inteso quale costo che i risparmiatori riterrebbero accettabile per disporre di uno strumento di pagamento comodo e che li salvaguardi dai rischi del contante in casa, come furti, incendio, smarrimento, etc.

Troppa liquidità uccide il mercato, vediamo come

Assenza di alternative concrete

Inoltre, dove dovremmo investire altrimenti quei 1.464 miliardi? I titoli di stato saranno pure sicuri, detto “cum grano salis”, ma espongono al rischio di perdite nel caso di disinvestimento anticipato, come ci confermano questi ultimi mesi burrascosi di spread alle stelle. Gli altri prodotti, siano essi obbligazionari corporate o azionari, non paiono capaci di soddisfare contemporaneamente gli obiettivi del “risk free” e del rendimento reale positivo. In conseguenza della politica monetaria ultra-espansiva della BCE, al momento se vuoi un rendimento soddisfacente, devi anche accettare un certo grado di rischio.

Infine, gli italiani hanno paura e si mostrano cauti nel privarsi della liquidità. L’economia domestica ha ripreso a crescere solo di recente e pur lentamente, ma già segnala di essersi fermata e forse siamo già entrati tecnicamente in recessione. All’estero, la congiuntura si sta deteriorando e la tempesta finanziaria contro i nostri bond, esplosa nella primavera scorsa, non aiuta a stare sereni. E come vi abbiamo spiegato in un altro articolo, probabile che molti italiani si stiano tenendo pronti per approfittare delle opportunità che si apriranno nel prossimo futuro. Una di queste proviene dal mercato immobiliare, i cui prezzi sono mediamente scesi di un quarto dal 2007 e ancora continuano ad arretrare, pur più lentamente. Con i mutui a tassi mai così bassi, in tanti si staranno tenendo liquidi per anticipare una buona parte del prezzo di acquisto per fare l’affare sulla casa.

Sta di certo, però, che la liquidità depositata a tasso zero trasferisce occultamente ricchezza alle banche, sebbene queste complessivamente maturino un margine d’interesse inferiore a quello pre-crisi, essendosi i tassi abbassati anche sul versante dei prestiti alle imprese e alle famiglie. Ad esempio, alla fine del 2007, mediamente le banche remuneravano i conti deposito e correnti di quasi il 2%, prestando lo stesso denaro a oltre il 6%, per un margine lordo superiore ai 400 punti base.

Ma almeno allora l’inflazione veniva totalmente coperta dai tassi sulle giacenze, per cui erano felici sia i titolari che le banche, un po’ meno mutuatari e imprese.

Italiani popolo di risparmiatori, impauriti o in attesa delle grandi occasioni?

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