L’intervista di Mario Draghi al Financial Times non può che essere definita una filosofia di governo, che probabilmente avrebbe in mente di guidare in Italia, appena finita l’emergenza sanitaria, quando se ne riproporrà una non meno temibile: quella economica. L’ex governatore della BCE ha rilasciato dichiarazioni molto interessanti, anche perché di discosterebbero dal pensiero comune che si ha della sua persona. Egli ha spiegato che il Coronavirus sta mietendo vittime, creando tragedie familiari in Italia, e che al contempo l’Europa debba reagire con misure potenti e veloci, al fine di fronteggiare i rischi sul piano economico.

Ma è quando ha fatto un’analisi di quanto accaduto nei periodi bellici che si ottiene l’effetto sorpresa: i governi hanno finanziato solamente tra l’8% e il 15% delle spese militari ricorrendo alle coperture, per il resto si sono indebitati. E attualmente saremmo come in guerra, ha aggiunto.

Draghi invoca l’unione fiscale nell’Eurozona, ma la sua BCE l’ha resa meno urgente

E, infatti, continua Draghi, i debiti del settore privato (banche, aziende) dovranno essere gradualmente trasferiti allo stato, rompendo il tabù del debito pubblico, il quale dovrà essere aumentato per assorbire gli shock, anche perché, nota, i rendimenti attuali non fanno prevedere alcun aumento dei costi a carico del contribuente. Questa intervista si presenta rivoluzionaria, dato il personaggio, ma in perfetta sintonia con il clima politico del Bel Paese. Da destra a sinistra, un po’ tutti dimostrano di condividere il pensiero dell’ex BCE e questo agevolerebbe la sua nomina a premier, nel caso in cui il governo Conte dovesse cadere per lasciare il posto a un esecutivo di unità nazionale.

Chi sosterrebbe Draghi

Una delle prime reazioni a Draghi è arrivata dalla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che in un’intervista a Il Foglio, pur smentendo di essere intenzionata a far parte di un governissimo con dentro tutti, ha allo stesso tempo elogiato la figura dell’ex banchiere centrale, sostenendo che, comunque, non ritiene che voglia diventare premier.

Mesi fa, ancor prima che il Coronavirus fosse noto alle cronache mondiali, era stato Matteo Salvini, leader della Lega, a rispondere con un “why not?” (“perché no?”) a chi gli chiedeva cosa ne pensasse di Draghi al Quirinale. E prima ancora lo aveva invocato a capo del governo Silvio Berlusconi, capo indiscusso di quel che resta di Forza Italia.

Draghi presidente dopo Mattarella?

Il centro-destra al completo, oggi opposizione, non nutrirebbe sentimenti ostili verso Draghi, così come nel centro-sinistra vi sarebbe sulla sua persona la convergenza di Matteo Renzi e della sua Italia Viva. Molto probabile che nessuna resistenza arriverebbe dal PD, mentre il Movimento 5 Stelle potrebbe tirarsi fuori per rifiatare nei consensi dalle file dell’opposizione (unica?) e rifarsi di una verginità politica a dir poco perduta alleandosi prima con la Lega e subito dopo con il PD.

Quale programma per Draghi

Il vero punto di domanda sarebbe un altro: Draghi premier per fare cosa? Sappiamo che l’Italia si sta avviando ad accusare una grave crisi fiscale, con il deficit atteso al 10% quest’anno, sempre che il governo non aumenti le misure a sostegno dell’economia. Il rapporto debito/pil sarebbe destinato ad esplodere fino ad oltre il 160% e questo renderebbe i BTp carta poco attraente per gli investitori, a meno che sui titoli di stato dell’Eurozona non venga apposta una garanzia formale della BCE, in forma di acquisti illimitati e tesi a contenere rendimenti e spread. Ma il problema sta nell’opposizione degli stati del Nord, Olanda in testa, che pretendono che un tale meccanismo, noto come OMT (“Outright Monetary Transactions”) venga attivato solo condizionatamente alla sottoscrizione da parte dei governi richiedenti di un memorandum d’intesa sulle riforme.

L’OMT è il famoso piano anti-spread messo in piedi da Draghi subito dopo il “whatever it takes” del 26 luglio 2012. Di più, l’allora governatore non poteva fare, perché la Bundesbank già trovava al limite del mandato il varo del piano. Se l’Italia potesse avvalersi dell’OMT senza finire commissariata, troverebbe domanda sufficiente e certa sul mercato per collocare l’intera valanga di nuovo debito da emettere e non dovrebbe preoccuparsi dei costi, concentrandosi sulle misure per favorire la ripresa. Senza questo “scudo” di Francoforte, sarebbe costretta a chiedere aiuto al Meccanismo Europeo di Stabilità solo accettandone le condizioni, ricevendo o un prestito o i proventi dei cosiddetti “Coronavirus bond”. Solo allora la BCE potrebbe attivare l’OMT. Ma la politica italiana non accetta l’idea di finire sotto il controllo di un organismo sovranazionale, un po’ come la Grecia di questi ultimi 10 anni.

Unità politica attorno a Draghi?

Qui, il ruolo di Draghi agevolerebbe il compito dell’Italia. La sua persona troverebbe porte aperte all’Eurotower, di cui è stato capo fino a cinque mesi fa, e riceverebbe con molte più probabilità e meno fatica la fiducia anche dei recalcitranti stati del nord, sebbene siano gli stessi che non gli hanno risparmiato critiche negli otto anni di presidenza alla BCE. Ma non sarebbe forse questo il contributo più significativo che Draghi offrirebbe all’Italia, quanto di compattare per la prima volta dopo decenni la politica italiana attorno a sé e “contro” Bruxelles nel difficile confronto sul sostegno all’Italia. I “falchi” si ritroverebbero un Paese finalmente unito e avrebbero, a quel punto, due sole opzioni: accettare l’idea che il debito pubblico italiano, e di riflesso quelli di tutta l’area, debbano finire sotto tutela della BCE, oppure assumersi la responsabilità di provocare una crisi finanziaria rovinosa per tutti e che avrebbe come conseguenza più estrema la stessa rottura dell’euro.

Gli stessi mercati riporrebbero fiducia nei BTp emessi sotto un governo Draghi e, indipendentemente dalle mosse della BCE, si mostrerebbero più propensi a finanziarci. Ma non dobbiamo nemmeno commettere l’errore di pensare che Draghi, una volta insediatosi a Palazzo Chigi, vada in Europa per chiedere e ottenere deficit illimitato e spesa pubblica senza controllo. Il Patto di stabilità è stato sospeso, non rottamato. E anche “Super Mario” dovrebbe rispettarlo, una volta terminata la fase emergenziale. E i partiti che lo sosterrebbero sarebbero pronti a votare in Parlamento misure all’impatto anche impopolari, come il taglio della spesa pubblica improduttiva e magari l’eliminazione di provvedimenti-bandiera come quota 100 e reddito di cittadinanza?

Il precedente del governo Monti

Il clima d’emergenza è sostanzialmente simile, pur per cause diverse, a quello di fine 2011, quando il governo Berlusconi, in piena crisi dello spread, dovette cedere alle pressioni interne e internazionali per lasciare il posto al Prof Mario Monti, il quale godette del sostegno bipartisan, con Lega e Italia dei Valori unici partiti all’opposizione. I due schieramenti di maggioranza pagarono un prezzo politico enorme, con il PDL frantumatosi e archiviato qualche anno dopo e il PD ad avere da allora perso progressivamente consensi e appeal a sinistra. Al contrario, proprio gli oppositori di quella esperienza ne uscirono molto rafforzati, con il nascente Movimento 5 Stelle ad essersi attestati primo partito già al loro primo test elettorale nazionale.

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La politica non avrà dimenticato le conseguenze di quella fase, la quale non riuscì nemmeno a creare le condizioni per una ripresa dell’economia italiana, al contrario sprofondata in recessione prima e in uno stato di bassa crescita dopo. Draghi stesso dovrebbe sapere che, un attimo dopo aver incassato la fiducia in Parlamento, dentro la sua eterogenea maggioranza esploderebbero tutte le contraddizioni possibili tra partiti con programmi ed elettorati diversi e finirebbe ostaggio dell’impasse. L’ipotesi Draghi premier resta molto forte, ma non deve essere data per scontata. Ad oggi, dei tre governi tecnici sperimentati da inizio anni Novanta (Ciampi, Dini e Monti), nessuno si è rivelato politicamente una scommessa vincente.

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