A Ferragosto, i talebani hanno ripreso definitivamente il potere in Afghanistan dopo 20 anni dalla loro cacciata ad opera degli americani. Ritrovano una Kabul molto diversa dalla città iper-arretrata che avevano lasciato, con edifici che ospitano tra l’altro banche e sedi di istituti finanziari. Ma le condizioni dell’economia rimangono severe. Il PIL pro-capite supera a stento i 500 dollari l’anno, tra i più bassi al mondo. Gran parte dei 38 milioni di abitanti vive con meno di 2 dollari al giorno, figurando ufficialmente tra i poveri assoluti.

E i talebani dovranno fare di tutto per impedire che i pochi dollari presenti in Afghanistan defluiscano. Stando ai dati della banca centrale, il paese dispone di riserve valutarie per 9,6 miliardi di dollari, ma di questi ben 7 miliardi sono custoditi presso i forzieri della Federal Reserve. E l’istituto americano non sembra intenzionato di consentire al nuovo governo l’accesso alla liquidità.

Probabile, poi, che la fuga dei capitali acceleri l’assottigliamento delle riserve fisicamente disponibili, provocando il deprezzamento del cambio e la conseguente ascesa dell’inflazione. Uno scenario temibile per l’Emirato Islamico, in quanto la nuova entità politica debutterebbe tra condizioni di vita in ulteriore peggioramento.

Le ricchezze inesplorate dell’Afghanistan

Eppure, l’Afghanistan sarebbe tutt’altro che povero. Si stima che il suo sottosuolo disporrebbe di minerali per un controvalore compreso tra un minimo di 1.000 e un massimo di 3.000 miliardi di dollari. Una cifra immensa, specie se si pensa che il PIL non superi i 20 miliardi. Tra le risorse che fanno maggiormente gola al resto del mondo, abbiamo le terre rare. Si tratta di svariati elementi di impiego crescente nell’industria dell’elettronica, a maggior ragione con la svolta ecologica in corso. Il litio, ad esempio, è utilizzato per la costruzione delle batterie per le auto elettriche.

L’atteggiamento di Russia e Cina verso i talebani suggerirebbe che le due potenze mirino proprio a questi minerali.

In particolare, Pechino già detiene quasi il monopolio mondiale del litio. Compresi i giacimenti sfruttati all’estero e di cui possiede i diritti, quasi l’85% della produzione globale è suo. In Bolivia, il 100% delle miniere di litio è sfruttato da aziende cinesi. E in questi mesi di carenza di chip, la capacità di accesso alle terre rare è diventata palesemente un vantaggio per i produttori.

Per non parlare del gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI), che al suo completamento sarà in grado di trasportare 33 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno. Più che altro, fa specie che in 20 anni di presenza militare, gli USA non abbiano neppure iniziato a sfruttare le immense riserve minerarie dell’Afghanistan. Probabile che abbiano inciso i tempi lunghi di una tale operazione. L’Agenzia internazionale per l’energia ha calcolato, in effetti, che tra la scoperta di un giacimento e l’avvio del suo sfruttamento trascorrano mediamente 16 anni. Ma i cinesi probabilmente non hanno fretta e hanno già fiutato l’affare alle proprie frontiere occidentali.

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