La crisi della lira turca non si è fermata nemmeno ieri, quando il cambio contro il dollaro nel corso della sessione asiatica è arrivato a cedere l’11%, sprofondando al nuovo minimo record di 7,24, salvo riprendersi parzialmente, ma viaggiando praticamente lungo tutta la seduta a -7/8%. Da inizio anno, le perdite ammontano al 45%. Di fatto, la valuta di Ankara è diventata un’appestata nel mondo finanziario. Non sta andando bene nemmeno sul fronte azionario, con l’indice principale della Borsa di Istanbul a segnare un netto -20% abbondante quest’anno.

Chi avesse investito in azioni turche a inizio anno, oggi si ritroverebbe con in mano titoli dal valore ridottosi (in dollari) di circa i due terzi. Tuttavia, ogni crisi rappresenta un’opportunità di guadagno per quanti si mostrano in grado di anticiparla.

Prendiamo lo “short selling” o vendite allo scoperto. Si tratta di una tecnica ribassista, utilizzata dai trader per cercare di guadagnare quando il mercato scende. Come? Per un breve ripasso, vi segnaliamo un nostro articolo di un paio di anni fa (leggi qui: Short selling, cos’è e rischi e opportunità di una strategia ribassista). In poche parole, si tratta di scommettere al ribasso sul prezzo di un titolo o su un tasso di cambio. Ebbene, immaginate che l’1 gennaio scorso, in apertura del nuovo anno finanziario, un investitore estero avesse venduto azioni turche per il controvalore di 1 milione di lire turche senza averne la disponibilità materiale, ma facendosi prestare i titoli da un broker e incassando al cambio di allora circa 267.600 dollari. Oggi acquisterebbe le stesse azioni mediamente per 115.770 dollari, tra effetto cambio e tonfo della borsa turca. In soldoni, avrebbe realizzato un guadagno di oltre 150.000 dollari su appena nemmeno 116.000 investiti (a posteriori), pari a un rendimento del 130%, che annualizzato farebbe circa il 235%.

Lira turca in ginocchio, contagiato l’euro

Conveniente ancora entrare nel mercato turco?

E’ troppo tardi per entrare sul mercato azionario turco e scommettere al ribasso? Per capirlo, bisogna cercare di immaginare come si muoveranno sia gli indici della Borsa di Istanbul, sia la lira.

A giugno, stando agli ultimi dati resi disponibili da Ceicdata.com, il mercato azionario turco quotava mediamente a 8,66 volte gli utili, in calo dall’8,86 di maggio e sensibilmente al di sotto della media dell’ultimo decennio, che si attesterebbe intorno a 12. Ciò implicherebbe che i titoli sarebbero sostanzialmente deprezzati, per cui dovrebbero risalire nei prossimi mesi. Ma c’è da scontare l’effetto del tracollo della lira sull’economia domestica, con l’inevitabile maxi-rialzo dei tassi da parte della banca centrale, che finirà per erodere i margini delle società, mentre il cambio falcidiato già gonfia il valore dei 220 miliardi di dollari di debiti contratti in divise straniere.

Trading online, nuove tutele colpiranno i piccoli investitori

Quanto alla lira turca, possiamo solo fare supposizioni. Ad oggi, non sembra esservi un “floor”, un tasso di cambio minimo e sotto il quale i mercati non dovrebbero tendere. Stando ai contratti di opzione di CME Group, il principale gruppo di negoziazione di derivati al mondo, il cambio contro il dollaro s’indebolirebbe a 6,96 a dicembre e a 8,50 alla fine dell’anno prossimo. Se questi dati si riveleranno veri, entro i prossimi 16 mesi la lira perderebbe un altro 20% secco. Anche solo ipotizzando una stabilità dei titoli azionari, questi scenderebbero di valore, essendo emessi in lire, per cui lo “short selling” frutterebbe potenziali guadagni. A tale riguardo, si consideri che oggi i rendimenti a 2 anni emessi dal Tesoro di Ankara si attestano al 25%, mentre quelli emessi in dollari sulla medesima scadenza viaggiano in area 9%. Ciò significa che il mercato sconterebbe un rischio cambio del 16% all’anno. Insomma, le prospettive per lira e borsa in Turchia sarebbero fosche anche per il prossimo futuro.

Chi avrà coraggio e fiuto potrà portare a casa altri lauti ritorni. Vi ricordiamo che dall’1 agosto scorso, le nuove regole nella UE per il trading online limitano a 5:1 la leva finanziaria massima con cui operare sui mercati azionari.

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