Quella che vi stiamo raccontando è la cronaca di un dramma, che a stento riusciamo a seguire in diretta. Mentre ci accingevamo a scrivere sulla caduta della lira turca, il cambio perdeva circa il 3,5%, ma in pochi minuti il quadro si è deteriorato a livelli inimmaginabili: si è passati a -4%, -5%, -6% e in pochi attimi il crollo è arrivato alla doppia cifra, prima a -10% e successivamente, a rapidi passi, si è arrivati a -11%, -12% e -13,5%. Non siamo in grado di dirvi quale sia il cambio esatto contro il dollaro nel momento in cui leggete, ma vi possiamo dare il dato agghiacciante delle ore 8:15: per un dollaro servivano 6,26 lire.

Dall’inizio dell’anno si registra così un tonfo di oltre il 40%. Alle ore 8:30, il cambio risaliva a poco meno di 6, perdendo il 6%. Resta da vedere se si sia trattato di un recupero tecnico autonomo o se sia intervenuta la banca centrale.

Il collasso della lira turca e il pericolo di una crisi finanziaria in stile argentino, ma senza paracadute

Che cosa sta succedendo? La delegazione turca che si era recata a Washington per cercare di dirimere la contesa con la Casa Bianca sulla detenzione del pastore evangelico Andrew Brunson ad Ankara pare che sia tornata a casa senza alcuna soluzione. A seguito del diverbio, gli USA hanno comminato sanzioni a carico di due ministri del governo Erdogan. Tuttavia, a preoccupare analisti e investitori non è tanto la contesa in sé, quanto che essa sia la spia di un isolamento progressivo della Turchia rispetto all’Occidente, mentre la politica monetaria della banca centrale già non si mostra all’altezza della situazione, impossibilitata a perseguire livelli adeguati dei tassi e a contrastare sia l’alta inflazione (15,4% annuo a giugno), sia il forte passivo delle partite correnti, tendenti ormai al 6% del pil.

Per l’anno prossimo, il governo ha tagliato il tasso di crescita atteso per il pil al 3-4% dal +7,4% nel primo trimestre di quest’anno.

E il passivo corrente si ridurrebbe al 4% del pil. In sostanza, l’esecutivo segnalerebbe l’intenzione di accettare un rallentamento della crescita economica per contrastare l’alta inflazione, ma la sua credibilità sarebbe ormai stata intaccata in maniera irrimediabile. Quest’oggi, il ministro dell’Economia, Berat Albayrak, genero del presidente Erdogan, dovrà svelare il suo piano. Vedremo se in esso siano contenute novità realmente positive per dare sollievo alla lira e all’umore nero sui mercati.

Le preoccupazioni in Europa

Anche il cambio euro-dollaro sta risentendo negativamente del crollo della lira turca. Il Financial Times ha citato oggi criticità per le banche europee, legate alle esposizioni verso le imprese turche, indebitate in valuta straniera per 220 miliardi di dollari netti. A inizio mattinata, il cross scendeva di ben lo 0,7% a un minimo di 1,1450, il livello più basso da 11 mesi a questa parte. A preoccupare sono, in particolare, i crediti vantati da Bnp Paribas, Bbva e Unicredit. Di questo passo, un rialzo dei tassi d’emergenza da parte della banca centrale sarebbe solo questione di ore e dovrà essere convincente, ovvero nell’ordine di almeno 500 punti base, al fine di arrestare il declino.

La crisi in Turchia rischia di destabilizzare l’Europa, milioni di profughi l’arma di ricatto di Erdogan 

In alternativa, Ankara perderebbe presto l’accesso ai mercati finanziari, non riuscendo più a collocare i propri bond, i cui rendimenti a 10 anni sono già saliti al 18,5% e quelli a 2 anni risultano esplosi al 21,7%. Chi dall’estero comprerebbe mai titoli di stato emessi in lire, ossia destinate a perdere valore inesorabilmente? L’altro rischio per Erdogan consiste nello spettro di un’inflazione galoppante, conseguenza del collasso del cambio, che innalza il costo dei beni importati.

Insomma, siamo dinnanzi a uno shock dai contraccolpi potenzialmente molto seri anche per il resto dell’economia mondiale. L’evoluzione di questa crisi segna uno spartiacque nell’era Erdogan, al potere da 15 anni. Vedremo se seguirà, obtorto collo, l’Argentina nella richiesta di assistenza finanziaria al Fondo Monetario Internazionale o se Ankara vorrà evitare una simile umiliazione. La seconda opzione resta tale solo se il presidente accetterà di togliere le mani dalla banca centrale, la vera causa di questo sconquasso sui mercati.

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