Da settimane in Cina sono tornati i lockdown contro il Covid. Eppure, non sembra che stiano servendo molto stavolta a contenere il numero dei contagi. Shanghai è la città più nota all’estero colpita dalle restrizioni, dove i nuovi casi giornalieri ieri superavano ancora le 12.000 unità. Con 26 milioni di abitanti in tutto, ci dà l’idea dell’impatto che le misure draconiane imposte da Pechino stanno avendo sull’economia cinese. In realtà, il lockdown sta riguardando oltre 320 milioni di abitanti e aree che producono il 40% del PIL del Dragone asiatico.

Nel primo trimestre, questi è cresciuto solamente del 4,8%, meno del target fissato dal Partito Comunista del 5,5%. In verità, già prima della nuova ondata di Covid si avvertivano alcuni scricchiolii per l’economia cinese. Il settore immobiliare, che incide per un quinto del totale, non tira più. Nel tentativo di evitare il cosiddetto “hard landing”, ossia l’atterraggio duro, la Banca Popolare Cinese da mesi è tornata a tagliare i tassi d’interesse. Può permetterselo, peraltro, grazie a un’inflazione contenuta (1,5% a marzo) e un cambio forte (+10% dai minimi del 2020 contro il dollaro).

L’impatto dei lockdown sull’economia mondiale

Eppure, malgrado i nuovi lockdown l’istituto ha lasciato i tassi invariati la settimana scorsa. Forse, una spiegazione esiste: la Banca Popolare Cinese è sì preoccupata dell’andamento dell’economia, ma resta consapevole che l’impatto che un taglio dei tassi avrebbe con centinaia di milioni di consumatori costretti a restare a casa, sarebbe scarso. Insomma, l’impulso creditizio serve, ma non adesso. Invece, le conseguenze di queste restrizioni anti-Covid sono già immediate. In primis, rallenteranno ulteriormente il tasso di crescita del PIL cinese. E non è cosa che il presidente Xi Jinping sottovaluta alla vigilia del congresso di partito, che in autunno gli affiderà il terzo mandato.

In verità, i nuovi lockdown non colpiscono solo l’economia cinese; essi impattano negativamente sull’economia occidentale, già in sofferenza tra i colli di bottiglia ereditati dai precedenti lockdown anti-Covid e un’inflazione che sta tagliando produzione e consumi.

Shanghai non è una città qualsiasi, bensì un distretto dell’high tech. Ed ospita uno dei porti più importanti al mondo per volumi di merci trasportate. Bloccare Shanghai equivale ad aggravare la carenza di dispositivi elettronici e componentistica, tra cui i chip, rallentando ulteriormente le produzioni in settori come elettrodomestici e automotive, già in grosso affanno.

Cina e Russia alleate contro l’Occidente

In generale, i lockdown decisi da Pechino finiscono per spingere ulteriormente i prezzi dei beni al consumo in alto e ad interrompere ancora di più le catene di produzione delle centinaia di multinazionali occidentali presenti in Cina. In altre parole, equivalgono a una nuova ondata di stagflazione. Con il petrolio sopra 100 dollari, il gas mai così caro nella storia europea, nonché una miriade di materie prime anch’esse rincarate a livelli record, tra cui minerali ferrosi e derrate alimentari, sarebbe l’ultima cosa che servirebbe ad Europa e Nord America.

E se non fosse casuale? La politica del Covid zero fu inaugurata dalla Cina sin dai primi casi di pandemia registratisi proprio sul suo suolo. Essa consiste in misure di confinamento rigido di interi quartieri e città in cui vi siano anche solo pochissimi contagi. Nessuna novità, insomma. Tuttavia, la tempistica delle attuali restrizioni appare sospetta. La Cina è alleata della Russia, in guerra contro l’Ucraina e, per estensione, tutto l’Occidente. Per quanto Pechino non stia sostenendo formalmente Mosca, ma anzi si mostri disponibile alla mediazione, sappiamo benissimo che essa ambisce a indebolire particolarmente gli USA per spodestarla come superpotenza economica.

Lockdown anti-Covid come strumento para-bellico

Il fronte sino-russo sa di non disporre della supremazia militare per battere l’Occidente sul piano bellico.

E, dunque, starebbe provando a sfiancarlo attraverso escamotage di tipo economico. I due sterminati paesi posseggono quasi tutte, se non tutte, le materie prime di cui ha bisogno il resto del mondo per produrre. Solo riducendone l’offerta, sarebbero in grado di mettere in ginocchio le economie di Nord America e Vecchio Continente. E quale migliore occasione dei lockdown anti-Covid, una scusa perfetta per ammantare di ragioni sanitarie obiettivi che sarebbero esclusivamente o quasi geopolitici?

C’è ancora chi crede a Bruxelles e Washington che i cinesi non si metterebbero mai contro di noi, per il semplice fatto che siamo i loro principali clienti. In un certo senso, ciò spiegherebbe la prudenza ostentata da Xi in questo contesto bellico. Resta il fatto che danneggiare la nostra capacità produttiva consentirebbe a Pechino di guadagnare ulteriore terreno per imporre la sua potenza industriale al resto del pianeta. Un Occidente sfinito da anni di pandemia prima e stagflazione adesso sarebbe molto più malleabile quando ci sarà da ridiscutere gli assetti geopolitici globali. A partire da Taiwan. Perché Xi tutto desidera, tranne che si ripeta ai suoi danni lo schema dell’Occidente in Ucraina contro la Russia.

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