I numeri dell’economia mondiale appaiono ottimi dopo un 2020 disastroso a causa della pandemia. Il PIL globale è visto crescere del 5,9% per quest’anno dalle ultime stime del Fondo Monetario Internazionale. L’Italia dovrebbe sorprendere con un +6%, che non si esclude possa essere superato. Ciononostante, il rischio stagflazione è altrettanto elevato; anzi, si va facendo sempre più concreto con il passare delle settimane.

Molti di voi non avranno mai sentito nominare il Baltic Dry Index. Contrariamente a quanto suggerirebbe il nome, non riguarda il solo Baltico.

Esso è un indicatore del costo di trasporto su nave delle merci non liquide. Più è alto e maggiore costa spedire prodotti da una parte all’altra del mondo. In un certo senso, esso svela il grado di vivacità dei commerci, ergo dell’economia mondiale. In meno di un mese, si è più che dimezzato, passando dai massimi dall’estate del 2008 ai minimi dal giugno scorso.

Questo svelerebbe che il trasporto delle merci sia diventato molto meno costoso. Per quale ragione? Probabile che l’offerta di spazi sulle navi cargo sia aumentata con l’allentamento delle restrizioni anti-Covid e la ripresa a pieno ritmo della navigazione. Ma è altrettanto probabile che gli alti costi dei noli dei mesi passati siano stati considerati insostenibili dalle società esportatrici e che, quindi, la loro domanda si sia ridotta. Infine, temiamo che tale domanda sia diminuita per la riduzione degli ordini da parte dei clienti.

Allarme stagflazione per il PIL mondiale

In sintesi, possiamo anche immaginare che il crollo sia stato dovuto all’offerta, ma così rapidamente sarebbe legato alla domanda. E questo per l’economia mondiale significherebbe andare incontro al rischio stagflazione. Già, perché se è vero che i consumi stiano rallentando dopo il balzo seguito ai “lockdown”, d’altra parte non sembra che i prezzi delle materie prime stiano assestandosi su livelli sostenibili.

Il greggio è salito a 85 dollari al barile, mentre i metalli industriali mediamente segnano rialzi di quasi un quarto quest’anno e del 15% sopra i massimi del decennio, risalenti ai primi mesi del 2012.

L’inflazione galoppa negli USA, in Canada, Europa e Australia, solo per limitarci al mondo ricco. E sinora il trend coincide con il boom del PIL. Ma fino a quando? Dal mercato del lavoro USA sono arrivati segnali di ulteriore surriscaldamento dei prezzi, con i salari ad essere saliti del 4,9% su base annua. L’inflazione da un lato risente dei consumi vivaci, dall’altro è frutto dei numerosi colli di bottiglia che si stanno verificando negli stabilimenti di tutto il mondo. E finisce per “gelare” i consumi stessi e la crescita dell’economia mondiale, riducendo il potere d’acquisto delle famiglie.

Va detto che il Baltic Dry Index non è da leggere come il Vangelo. Ci ha abituati varie volte nel corso degli anni a impennate seguite da brusche cadute. Dalla primavera all’autunno del 2008 sprofondò del 95%, mentre tra maggio e dicembre del 2010 registrò un pesante -70%. Nel primo caso, però, effettivamente l’economia mondiale entrò in recessione a seguito della crisi finanziaria scatenata dai mutui “subprime” americani; nel secondo, anticipò un rallentamento che sarebbe andato avanti fino a tutto il 2012. Se anche stavolta segnalasse burrasca in arrivo, parlare di stagflazione non sarebbe più uno sproposito.

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