Mentre il governo interviene per tagliare le bollette di luce e gas, tutto rincara a doppia cifra. L’indice Bloomberg delle materie prime segna un rialzo del 25% quest’anno, con il prezzo del petrolio ad essere salito del 40%, il rame di circa il 22% e l’alluminio del 43%. Secondo la FAO, poi, i generi alimentari stanno costando il 33% in più su base annua. Il rischio stagflazione serpeggia sui mercati e ormai sembra prendere il sopravvento rispetto al solo rischio inflazione.

Anzitutto, cos’è la stagflazione? E’ un termine coniato negli anni Settanta per descrivere la contestuale presenza di stagnazione economica e inflazione.

Un’eresia per i sostenitori della curva di Phillips, che aveva spopolato fino ad allora tra gli economisti. L’anno di riferimento fu il 1973, quando i paesi dell’OPEC quadruplicarono le quotazioni del greggio, riducendo l’offerta. I tassi d’inflazione esplosero in tutto l’Occidente, mentre la sua economia, già in rallentamento con la maturazione del processo d’industrializzazione, praticamente si fermò.

Alla fine di quel decennio – siamo nel 1979 – la rivoluzione islamica in Iran provocò un’altra ondata di rialzi delle quotazioni petrolifere. L’inflazione tornò a salire, ma stavolta fu contrastata efficacemente da Regno Unito e USA, dove i governi conservatori di Margaret Thatcher e Ronald Reagan avevano vinto proprio su piattaforme programmatiche di contrasto al carovita. I tassi d’interesse furono alzati drasticamente. La Federal Reserve li portò al 20% nel 1981, cioè fino a 10 punti sopra l’inflazione, quando erano circa l’1% sotto solamente due anni prima.

Stagflazione, confronto con anni Settanta

Quali similitudini e differenze con la stagflazione di allora? Le banche centrali sono anche stavolta molto espansive, ma a fronte di tassi d’inflazione (ancora) bassi. L’economia rallenta vistosamente da almeno un decennio in Europa, un po’ meno negli USA. In questa fase, rimbalza con l’uscita dalla pandemia.

Tuttavia, strozzature dell’offerta stanno provocando squilibri sul mercato, alimentando la spirale inflazionistica. Ma negli anni Settanta, i commerci erano molto limitati (eravamo in piena Guerra Fredda), mentre oggi sono piuttosto liberi. Questa condizione rileva sostanzialmente. Le imprese trovano difficile alzare i prezzi in una situazione di così forte concorrenza.

D’altra parte, se le materie prime rincarano, tutte le imprese sono costrette ad aggiornare i listini senza che ciò impatti sul loro posizionamento sul mercato. Ma a cosa è dovuto il boom delle materie prime? L’offerta negli ultimi mesi è cresciuta molto più lentamente della domanda, a causa di numerose restrizioni anti-Covid ancora attive. E i potenti stimoli fiscali e monetari stanno inducendo una fetta dei lavoratori a starsene a casa a incassare i sussidi, anziché tornare al lavoro. Ciò provoca una carenza di manodopera, che si traduce in pressioni sulla produzione.

Ne usciremo presto? In teoria, sì. Ma la stagflazione diverrebbe un fenomeno tutt’altro che passeggero qualora l’interruzione delle catene produttive dovute al Covid permanessero per via delle tensioni geopolitiche. La carenza di chip è solo la spia di un contraccolpo ben più vasto a cui il mondo andrebbe incontro con una possibile “guerra” commerciale tra Occidente e Cina. Negli anni Ottanta, la crescita fu riattivata con politiche “supply-side”, cioè di stimolo all’offerta. Il rischio maggiore consiste oggi nella diversa consapevolezza degli attori politici, che sembrano propendere più apertamente ormai per sostenere la domanda, anziché creare condizioni più favorevoli per produrre e investire. L’esito delle prossime elezioni federali in Germania dovrebbe confermare tale timore.

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