Qual è il problema dei problemi in Italia? Il debito pubblico. A quanto ammonta? A 2.300 miliardi di euro circa, intorno al 131% del pil. Verso chi è indebitato lo stato italiano? Per circa i due terzi verso soggetti residenti e per un terzo verso soggetti stranieri, BCE inclusa. Quanto vale il debito pubblico italiano in mano a banche, fondi e assicurazioni all’estero? Sui 650 miliardi, in calo di quasi una settantina di miliardi con la nascita del governo giallo-verde. Dunque, il boom dello spread BTp-Bund è stato provocato da una fuga di capitali esteri, solo parzialmente rimpiazzati dall’accrescimento delle esposizioni delle banche italiane per quasi una cinquantina di miliardi quest’anno.

La speculazione morde e per ogni 100 punti base di rialzo medio della curva dei rendimenti, il costo di rifinanziamento del nostro debito sale a regime, ossia man mano che tutto lo stock viene rinnovato, di 20 miliardi, più dell’1% del pil.

Perché il debito pubblico italiano affonda le sue radici nel sindacalismo esasperato 

Sappiamo che Lega e Movimento 5 Stelle, da movimenti “sovranisti” quali sono, vorrebbero riportare tutto il debito pubblico in mani italiane, nella convinzione che la speculazione riguardi essenzialmente gli investitori istituzionali stranieri. C’è del logico in questa idea, ma anche una forte componente di rischio. Come abbiamo visto con l’ultima emissione del BTp Italia, gli italiani non finanziano automaticamente ogni spesa dello stato, nemmeno a condizioni apparentemente molto favorevoli. Serve la fiducia delle famiglie per immaginare che tutto il debito emesso venga acquistato dai risparmiatori, così come estrema prudenza fiscale, dato che i risparmi interni, pur ancora alti, non sono certo illimitati e non possono sostenere un peso sempre crescente del nostro debito.

E se ci pensassero le banche? Non tramite l’acquisto dei titoli di stato, bensì erogando al Tesoro mutui, similmente a quanto avvenga con i clienti privati (famiglie e imprese) e gli enti locali (regioni e comuni).

La proposta è arrivata mesi fa dall’economista tedesco Richard Werner, il quale ha notato come sarebbe più conveniente per lo stato italiano indebitarsi con le banche contraendo mutui e non emettendo titoli di stato. Che differenza c’è? I bond vanno rimborsati alla scadenza e nel frattempo staccano le cedole, mentre i mutui vanno pagati con rate periodiche (mensili, trimestrali, etc.), ciascuna comprensiva di capitale e interessi. Poiché la banca creditrice rientra sin da subito, rata dopo rata, di una parte crescente del capitale sborsato, i tassi applicati ai mutui, specie nei confronti di debitori solidi, si attestano su livelli generalmente più bassi di quelli pretesi dalle stesse sui titoli di stato.

Come funzionerebbe con i mutui?

Facciamo un esempio. Il Tesoro dovrà rimborsare titoli in scadenza nel 2019 per un controvalore di quasi 360 miliardi, al netto delle emissioni con cui dovrà finanziare il deficit annuale. Tolti i BoT, ossia i titoli con scadenze entro l’anno e ancora con rendimenti negativi o di poco superiori allo zero, restano da rimborsare sui 250 miliardi di euro in titoli a medio-lungo termine. Se anziché emettere nuovi bond, contraesse con le banche (italiane ed estere) maxi-mutui per l’esatto importo da rimborsare e della durata di 20-30 anni? Dal mercato verrebbero ritirati bond per circa un ottavo dell’intero stock di debito circolante e al loro posto lo stato s’indebiterebbe a tassi verosimilmente inferiori a quelli pretesi dalle stesse banche per finanziare il Tesoro tramite l’acquisto di bond. Un mutuo a 30 anni oggi viene concesso a una famiglia al tasso d’interesse persino del 2%. Di certo, lo stato avrebbe un peso negoziale per strappare il minimo tasso possibile e chiaramente sarà ritenuto dalle banche un debitore solido, venendo meno il problema delle garanzie che riguarda sempre i privati.

Il debutto flop del BTp Italia mette in guardia sui Cir, nessuna scorciatoia per il debito pubblico 

Se anno dopo anno lo stato s’indebitasse contraendo mutui a tassi di questo livello, il costo per onorare l’intero stock si dimezzerebbe a regime e verrebbero liberate risorse per abbattere il deficit e pareggiare i conti, ovvero per evitare che il debito continui a crescere in valore assoluto, oltre che in rapporto con il pil. Inoltre, allungherebbe di parecchi anni la durata media dello stock, anche se le rate dovranno essere pagate sin da subito, per cui nel tempo si avrebbe comunque un fabbisogno di liquidità per pagare le banche creditrici. Tuttavia, a fronte di 250 miliardi concessi al 2% a 30 anni, nei 12 mesi successivi il Tesoro dovrebbe pagare con rate mensili un ammontare complessivo di poco superiore agli 11 miliardi. Se anche l’anno dopo si facesse prestare dalle banche i soldi necessari per rimborsare tutti i bond a medio-lungo termine in scadenza e così anche l’anno successivo ancora, alla fine si sarà tolto di mezzo gran parte del debito circolante e in mano alla finanza “speculativa”, con la conseguenza che le famiglie italiane nel frattempo potrebbero assorbire gli importi da rifinanziare per pagare le rate dei mutui.

Certo, bisogna chiedersi se le solo banche italiane fossero disponibili o capaci a sostenere un’operazione del genere. Va detto che si potrebbe benissimo ricorrere al credito anche delle banche straniere, visto che non si tratterebbe più di esporsi al rischio spread, in quanto i mutui non sono prestiti rivendibili sul mercato, se non tramite le cartolarizzazioni, pratica che non riguarderebbe il rapporto tra stato debitore e banche creditrici. Il capitale necessario sarebbe elevatissimo, ma le banche italiane in buona parte rimpiazzerebbero i propri stessi bond negli anni, man mano che questi scadranno, mentre avrebbero nell’attivo assets solidi e non “mark to market”, ossia dal valore non esposto alle oscillazioni dei prezzi di mercato.

Potrebbero utilizzare tali prestiti come collaterale per richiedere liquidità a basso costo alla BCE, mentre i ratios patrimoniali ne uscirebbero rafforzati, con la conseguenza che il credito alle famiglie e alle imprese non verrebbe probabilmente meno. Se, poi, lo stato si mostrasse di parola e utilizzasse davvero i risparmi sugli interessi per ridurre il deficit e non per fare il solito spandi e spendi, se ne gioverebbero i rating e la fiducia sul mercato tornerebbe gradualmente, rendendo più agevole per il Tesoro collocare i titoli con cui rifinanziare anno dopo anno lo stock dei mutui. Parliamo di un’operazione gigantesca, eppure da prendere in considerazione. In fondo, un tempo i re finanziavano i loro debiti ricorrendo ai banchieri, non emettendo titoli. E un ritorno al passato, per quanto assurdo possa apparire, non sarebbe poi così da scartare, data la situazione.

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