Il governo Conte punta a recuperare per il 2020 7 miliardi di euro dalla solita lotta all’evasione fiscale, qualcosa come circa lo 0,4% del pil. In realtà, dietro a questa voce si nasconde una vera e propria stangata in arrivo per consumatori, esercenti e liberi professionisti. Si sta studiando, anzitutto, di imporre aliquote IVA più elevate per i pagamenti effettuati in contanti, mentre per quelli con carte di credito o bancomat verrebbe garantito un cosiddetto “cashback”, cioè la restituzione dell’1-2% attraverso un credito fiscale o un accredito monetario a tutti gli effetti per i redditi incapienti.

Sta di fatto che la lotta al contante, più che all’evasione fiscale, s’intensifica e con essa rischiano di salire i costi a carico dei titolari di esercizi commerciali, piccole imprese e studi, da un paio di anni obbligati per legge a garantire alla clientela i pagamenti ai POS sopra i 30 euro, sebbene le sanzioni non siano ancora divenute effettive.

La tassa sul contante proposta da Confindustria è una truffa per i risparmiatori

I POS, acronimo per “Point Of Sale” (Punti vendita), sono quegli aggeggi che trovate accanto alla cassa di un supermercato o sul tavolo di un’agenzia di assicurazione, i quali consentono al cliente di inserire la carta di credito o bancomat con cui effettuare i pagamenti, dopo avere digitato il codice PIN segreto. Se la carta prevede i pagamenti “contactless”, fino ai 25 euro è possibile persino pagare senza digitare il codice PIN, semplicemente avvicinandola al POS. Una comodità innegabile per quanti non vogliano portarsi dietro banconote e monete, così come per il negoziante o il libero professionista, che riduce i rischi di furti, perdite e spesso anche i costi di gestione della liquidità (pensate ai supermercati costretti a spostare più volte al giorno il denaro dalla cassa).

Il salasso dei POS

Ma il POS costa, e pure tanto.

Anzitutto, la sua installazione da parte della banca richiede un pagamento una tantum per usufruire dell’hardware (100-200 euro). In alcuni casi, il servizio viene erogato gratuitamente, ma viene imposto un costo di recesso nel caso di cessazione del rapporto prima di un certo numero di mesi. Successivamente, il detentore deve corrispondere un canone mensile, che si attesta mediamente sui 15-20 euro, ma varia molto sulla base del tipo di linea (analogica, ADSL, GSM), di POS (fisso, cordless, collegamento a internet) e del circuito di appartenenza della carta. Non è impossibile arrivare fino ai 50 euro. E poi ci sono i costi di transazione, di due tipi: fissi per ciascun pagamento effettuato e in percentuale della somma pagata. I primi non sono applicati da tutte le banche e incidono particolarmente sui piccoli pagamenti, anche se non superano i 10 centesimi e per le somme fino a 10 euro, quindi, valgono fino a un massimo dell’1%. Ad esempio, se pago 10 euro con carta, i 10 centesimi applicati alla transazione equivalgono all’1%. E chiaramente il negoziante li caricherà sui prezzi.

Quanto alle commissioni in percentuale, nemmeno in questo caso è possibile fornire una cifra esatta, anche se mediamente vi possiamo dire che si aggirino intorno all’1,5%, ma con punte anche doppie o più. Esempio: se pago 20 euro con carta, la commissione dell’1,5% vale 30 centesimi. Fin qui, nulla che non si sapesse. Quello che in pochi continuano a ignorare è che i POS tendano a colpire perlopiù i conti degli esercenti e dei professionisti con bassi margini di guadagno. Facciamo un esempio per capire meglio. Sono un agente assicurativo e la mia provvigione è pari al 7% della polizza venduta al cliente, che supponiamo essere di 300 euro. Il pagamento avviene con carta bancomat, cioè tramite POS, la cui commissione per ipotesi ammonta al 2%.

Bancomat obbligatorio, perché pagare ai POS per soli 5 euro non è un’idea sana

Ora, il mio guadagno lordo (tasse incluse) ammonterebbe solo a 21 euro (il 7% di 300 euro) e le commissioni che devo pagare sarebbero di 6,00 euro, cioè di quasi il 30% del mio guadagno, in quanto gravano su tutta la somma riscossa.

Se dal lordo passiamo al netto, cioè includiamo il peso del fisco, e se ancora teniamo conto dei costi annessi all’attività, come il pagamento dell’affitto del locale, le utenze, etc., scopriamo che il peso delle commissioni arriverebbe persino a rosicarsi la metà dei guadagni, una cifra a dir poco impressionante e che giustamente manda su tutte le furie i diretti interessanti, ai quali così viene sobbarcato l’onere della lotta all’evasione fiscale e senza che spesso possano trasferirlo ai clienti con l’aumento di prezzi e tariffe fissati da terzi.

Serve libera scelta sull’uso del contante

Non stiamo certo sostenendo che i POS siano diavolerie, semplicemente che ciascun attore economico, sia esso consumatore o venditore, debba godere della libera scelta su come pagare o farsi pagare, in base alla propria convenienza economica. Obbligare tutti a pagare con carta, senza prima chiedersi se sia un processo sostenibile per tutti i comparti dell’economia è un ragionamento suicida e controproducente. Se il cliente viene incentivato a effettuare pagamenti ai POS, affinché ciò non contrasti con gli interessi economici della controparte, sarebbe necessario assicurarsi prima che questi non vengano colpiti. E l’ipotesi di imporre un taglio delle commissioni, oltre ad essere poco praticabile, rischia di essere anch’essa ingiusta, perché anche le banche sono soggetti che perseguono legittimamente la logica del profitto e praticano prezzi alla clientela sulla base dei costi sostenuti e del grado di concorrenza subita.

Paradossalmente, qualsiasi norma che obblighi ai pagamenti elettronici aumenta la domanda di POS e, di conseguenza, i prezzi, cioè le commissioni imposte. La libera scelta costringerebbe le banche a rincorrere il cliente per erogargli il servizio, a farsi concorrenza tra di loro e, quindi, a praticare commissioni quanto più basse possibili.

E grazie a questo, il commerciante, l’imprenditore e il libero professionista sarebbero in grado di accettare quanti più pagamenti con carta, a beneficio sia del consumatore che del fisco.

Il contante non conosce crisi, ecco perché nemmeno la tecnologia scalfisce i pagamenti cash

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