Come volevasi dimostrare, il tetto ai pagamenti in contante, introdotto negli anni scorsi e alzato a 3.000 euro da quest’anno, sarebbe stato solo il primo passo nella direzione della lotta al cash, portata avanti dallo stato italiano per fare cassa. Adesso, arriva la proposta di Confindustria, secondo la quale dovrebbero essere tassati con una commissione del 2% tutti i prelievi sopra i 1.500 euro al mese (una franchigia simil-bolscevica), mentre i pagamenti elettronici dovrebbero essere agevolati con un credito d’imposta riconosciuto al cliente e pari sempre al 2%.

Il gettito atteso da Viale dell’Astronomia sarebbe di 3,4 miliardi di euro all’anno. A dire il vero, la confederazione degli industriali guidata da Vincenzo Boccia punta a ben oltre, cioè a colpire quell’ampia economia sommersa, che ogni anno si stima privi lo stato di 100 miliardi di euro di entrate.

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Insomma, se parte delle stesse imprese sprona lo stato a tassare il contante, siamo fritti. Compito delle parti sociali sarebbe di porre un freno allo strapotere dei governi, non già a foraggiarlo. Ebbene, la misura si rivelerebbe una truffa bella e buona ai danni dei risparmiatori, come vi abbiamo spiegato in numerose altre occasioni. Anzitutto, quale che fosse la finalità di un provvedimento del genere, che un risparmiatore debba pagare per utilizzare i propri stessi soldi suona come un’indecenza, anzi un ladrocinio. I soldi depositati in banca sono perlopiù il frutto di risparmi, cioè quanto rimane al suo legittimo titolare dopo avere speso parte delle sue entrate mensili/annuali. Le spese effettuate sono soggette all’IVA, mentre le entrate vengono sottoposte al pagamento dell’imposta sui redditi. Ergo, si tratta di denaro che ha scontato già una doppia imposizione fiscale.

La truffa ai danni dei risparmiatori

E, oltre tutto, perché mai un risparmiatore dovrebbe non poter scegliere il metodo di pagamento? L’uso di carte di credito o bancomat non è gratuito, presuppone il sostenimento di un costo, che pesa sulle tasche delle famiglie meno abbienti, in particolare.

Lo stesso conto corrente si mostra uno strumento oneroso, tra commissioni imposte sulle operazioni effettuate, costi di tenuta annui e imposte di bollo sulle giacenze superiori ai 5.000 euro. E già oggi il risparmiatore non ha molte possibilità si scampare a tali costi, non potendo altrimenti ricevere l’accredito dello stipendio, della pensione o di ogni altro pagamento sopra i 3.000 euro (1.000 euro fino alla fine del 2018). Ne consegue che stangare il cash e premiare i pagamenti elettronici significherebbe redistribuire ricchezza ai danni della fascia della popolazione più indigente, specie se si considera il funzionamento dell’economia informale, che continua a fungere da sostentamento per milioni di persone, specie al sud, dove l’alternativa sarebbe la disoccupazione perenne e lo stato di assoluta povertà.

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Alle banche serve avere certezza dell’impossibilità per i clienti di darsela a gambe nel caso in cui tali costi aumentassero. E’ il caso dei cosiddetti “tassi negativi”. Funziona così: da anni, la BCE impone alle banche il pagamento di un tasso d’interesse sulla liquidità parcheggiata presso di essa e che proprio oggi potrebbe essere aumentato al -0,6%. Ciò, al fine di incentivare l’erogazione dei prestiti. Tuttavia, questa misura si è rivelata un mezzo flop, traducendosi solamente spesso in una riduzione dei margini delle banche. Perché? A fronte del tasso penalizzante imposto dalla banca centrale, gli istituti non hanno potuto giralo ai clienti, temendo che altrimenti questi trovino alternative ai conti correnti e deposito, magari anche solo tenendosi più liquidi (il sempre caro materasso!).

Tutto questo castello di carte avrebbe basi più solide se i risparmiatori venissero “costretti” a tenere un conto in banca, magari anche solo per sfuggire alle commissioni del 2% sopra ipotizzate sui pagamenti in contante. E’ una truffa di stato, che la grande finanza e il mondo grande-imprenditoriale stanno studiando per far sì che il governo incassi di più ai danni dei contribuenti più indifesi – sì, parte dell’evasione fiscale deriva dall’impossibilità altrimenti di sostenere l’alto carico delle tasse, al quale le grandi imprese riescono più agevolmente a sfuggire spostando la sede in un qualche paradiso fiscale – e che le banche riescano a prestare più denaro ai soliti noti, grazie alla sterilizzazione dei tassi negativi, trasferiti sui conti dei risparmiatori. Un’indecenza, che può essere partorita solo da menti in mala fede, anche perché la stessa ipotesi di premiare i pagamenti elettronici sarebbe tecnicamente complicata.

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