Chi lo ha detto che il denaro contante sia in crisi? Di sicuro, lo è in Svezia, che è diventata nei fatti la prima società “cashless” al mondo con appena il 2% dei pagamenti effettuati per mezzo di banconote e monetine, attraverso una campagna pubblica aggressiva dell’ultimo decennio, mirata a stigmatizzare il contante come fonte di ogni male. Tuttavia, a guardare i numeri nel resto delle principali economie del pianeta, tutto sembra, tranne che ci stiamo dirigendo verso la fine della moneta di carta.

Anzi, in questi giorni la Banca Nazionale Svizzera ha dato una rinfrescata alla sua banconota da 1.000 franchi, quella dal valore più elevato, al fine di metterla ancora più a riparo dalla contraffazione. Ne girano 47 milioni di pezzi per un valore complessivo pari al 62% del totale. I critici avevano cercato di dissuadere il governatore Thomas Jordan dal proseguire con la stampa di questo taglio, sostenendo che si presterebbe a operazioni criminali e ad evadere le imposte.

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Ma gli svizzeri, che sono gente seria, non si sono fatti impressionare, nemmeno quando qualcuno ha citato il dato dell’aumento dei ritiri di contante dai depositi bancari a dicembre, sostenendo che si tratterebbe di un modo per evitare di fare i conti con i tassi negativi a fine anno. Una presumibile bugia, visto che il fenomeno riguarda un po’ tutte le economie avanzate e avrebbe a che vedere con la consuetudine di spendere di più che negli altri mesi dell’anno per fare regali e acquisti in vista delle festività natalizie. Insomma, quando c’è di mezzo il contante, ogni occasione sembra buona per criminalizzarlo.

Il cash cresce quasi ovunque

Dicevamo, la crisi sembra tutt’altro che vicina. Nella stessa Svizzera, banconote e monetine circolanti ammontano all’11,5% del pil, in rialzo rispetto a meno del 7% a cui si erano stabilizzati in valore tra la metà degli anni Novanta e il 2007, riportandosi ai massimi da inizio anni Ottanta.

E la decisione stessa di rinnovare l’immagine dei 1.000 franchi segnala come la BNS non abbia alcuna intenzione di seguire i passi della BCE, che dall’inizio di quest’anno ha cessato la stampa delle banconote da 500 euro, autorizzandola solo per le banche centrali di Germania e Austria fino al prossimo 26 aprile. Anche nell’Eurozona, tuttavia, il cash non accenna a cedere il passo: vale circa il 10,5% del pil, quando nel 2022 – anno in cui la moneta unica entrò fisicamente in circolazione – si attestava solo al 3%.

Da allora, il contante nell’area non ha fatto che crescere, anche perché un raffronto internazionale ci lascia intendere come probabilmente Francoforte avesse emesso troppo poche banconote e monetine nella fase di sostituzione delle monete nazionali. Già nel 2007, era salito al 7% del pil, una percentuale simile a quella in Svizzera e superiore al 5,7% di quell’anno negli USA, dove oggi i dollari in circolazione valgono l’8,3% del pil. Batte tutti il Giappone. Qui, gli yen di carta e in metallo raggiungono la bellezza del 20% del pil, in ulteriore crescita dal 16,5% del 2007.

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Contante come arma di difesa

Come mai, in un’epoca in cui il contante sembra sempre meno necessario, con carte di pagamento e applicazioni da mobile largamente diffuse, eppure notiamo che esso continui a crescere rispetto alle dimensioni di tutte le economie avanzate? Una possibile risposta ce la offrirebbero i dati dell’ultimo decennio. Il cash apparentemente sarebbe diventato più popolare con la crisi. Dal 2008, le banche centrali hanno allentato le rispettive politiche monetarie, azzerando i tassi e iniettando liquidità a pioggia sui mercati, imponendo persino tassi negativi, come nel caso dei depositi “overnight” della Svizzera prima e della BCE dopo.

I conti bancari sono divenuti quasi ovunque nel mondo ricco scarsamente convenienti per i risparmiatori, per non dire penalizzanti. Non è un caso che i tedeschi chiamino i tassi negativi anche “Strafzinsen”, letteralmente “tassi punitivi”. In sostanza, le banche hanno più o meno direttamente girato alla clientela il costo sostenuto dalle riserve in eccesso depositate presso gli istituti centrali – questo sono i tassi negativi – aumentando le commissioni, che nei fatti si traducono in un costo netto, ora che i conti fruttano interessi zero. In qualche caso, come nel paese alpino, i clienti si sono visti recapitare una lettera, con cui è stato comunicato loro che avrebbero dovuto pagare sulle detenzioni oltre una certa cifra.

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La lotta contro le banconote da grosso taglio

Sfuggire ai tassi negativi si può. Come? Ritirando i soldi in banca e tornando all’uso del contante, che rappresenta così la migliore arma di dissuasione nei confronti del sistema bancario, affinché si ponga un limite nell’imporre ai clienti tassi penalizzanti. Se questo è vero, le banche centrali hanno fiutato il rischio di un flop delle loro misure ultra-espansive non convenzionali, perché se i cittadini hanno la possibilità di “ricattare” le banche, ritirando i loro depositi e trasformandoli in cash, viene meno la possibilità per queste di girare ai clienti i tassi negativi, che in teoria dovrebbero disincentivare le famiglie a risparmiare e indurle a consumare. Da qui, la lotta quasi ossessiva di questi anni contro il contante, portata avanti dai governatori centrali e i principali governi, tesa non a contrastare l’evasione fiscale o la criminalità organizzata, quanto a rendere inermi i cittadini dinnanzi al potere delle banche centrali stesse di decidere i ritmi con cui dovrebbero consumare o meno.

Inoltre, l’abolizione del contante costringerebbe tutti a tenere il proprio denaro parcheggiato in banca, con la conseguenza non di poco momento che la liquidità resterebbe sempre alta per il sistema del credito, facendo venire meno una delle principali preoccupazioni nei periodi di crisi di fiducia tra i risparmiatori.

Certo, la libertà dell’uso del contante esiste fino a un certo punto. Ritirare 100.000 euro per ammassarli sotto il materasso sarebbe fisicamente poco pratico ed esporrebbe a rischi enormi sul fronte della sicurezza. Ecco spiegata la volontà delle banche centrali di cessare la stampa delle banconote di taglio maggiore, quelle che facilitano proprio lo smobilizzo dei depositi, favorendo il cash. Una cosa sarebbe, ad esempio, portarsi a casa 50.000 euro in 100 pezzi da 500, un’altra essere costretti a presentarsi allo sportello con una valigia per metterci dentro 500 pezzi da 100 o 1000 da 50, etc.

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Contante contro lo strapotere dei governi

Avete capito a cosa serve la lotta al contante? A rendervi meno liberi di decidere cosa vogliate farne dei vostri soldi. Una libertà, che verrebbe meno non solo nei confronti del circuito bancario, ma anche dello stato. I governi di turno potrebbero fregarsene di gestire con efficienza i servizi pubblici, spendendo in maniera ancora più irrazionale i denari dei contribuenti, tanto questi non avrebbero più modo concreto per sfuggire al pagamento delle tasse. E l’evasione fiscale, quando non è dettata da un’allergia ai propri doveri, rappresenta il termometro della bocciatura dello stato ad opera dei cittadini. In Italia, ad occhio e croce le casse statali verrebbero ogni anno private di oltre 100 miliardi di euro di entrate, a causa dell’evasione fiscale dilagante. Una piaga, intendiamoci, che in molti casi è diretta conseguenza di una mentalità ed economia poco sviluppate, specie in alcune aree del Meridione.

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Tuttavia, vi immaginate cosa succederebbe se i governi avessero a disposizione questi 100 e più miliardi? Pensate davvero che li userebbero per aumentare i servizi, risanare i conti pubblici e tagliare le tasse, oppure per ingrassare il Leviatano e spendere ancora di più per massimizzare il consenso politico? Il contribuente sarebbe ancora di più in trappola. Non che sia un bene che oggi sfugga al pagamento delle tasse, ma lo scenario opposto, quello che lo vedrebbe costretto a subire qualsivoglia scelta dello stato sul piano fiscale, a causa della sparizione del contante, non sarebbe più equo. Non è un caso che ad ergersi in difesa del contante siano non paesi arretrati, bensì evoluti e ligi al dovere, come Svizzera e Germania. La Bundesbank lo considera “diritto umano” e dentro la BCE alza da sempre la voce contro i tentativi del governatore Mario Draghi di renderlo più difficoltoso, fiutando aria di truffa a carico dei risparmiatori tedeschi.

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