Scorsa settimana, la più nota influencer italiana ha svolto un servizio fotografico per “Vogue” agli Uffizi di Firenze. Anziché essere contenti del fatto che il periodico americano abbia scelto il museo toscano come location e non un qualche altro luogo scontato d’Italia, i social sono esplosi alla visione di Chiara Ferragni davanti ad alcuni capolavori, tra cui la “Nascita di Venere” di Sandro Botticelli. Come si è permessa la dirigenza del museo a consentirne l’ingresso privato, mentre i comuni mortali sono costretti a fare la fila? Questa è stata forse la critica più “costruttiva” e gentile che si sia letta in rete.

Giustamente, il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, non solo ha difeso il permesso accordato per la realizzazione del photo-shooting, ma ha rivendicato con orgoglio i primi frutti che il museo ha potuto raccogliere già nei tre giorni che sono andati dal venerdì alla domenica passati: oltre 9.000 visitatori, la media di 3.000 al giorno, in rialzo del 24% su base settimanale. E gli under 25 sono aumentati del 27% (+761), arrivando a circa 3.600.

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Le ragioni dell’odio social verso Ferragni

Sarà stato il primo effetto Ferragni? Prematuro a dirsi, ma di sicuro c’è che puntare su una influencer con 20 milioni di follower su Instagram per pubblicizzare i musei non solo non sarebbe un’idea criticabile, anzi dovrebbe essere sostenuta e lodata da tutti, perché il marketing punta dritto a un segmento del pubblico probabilmente poco vicino al target tipico dei visitatori. Ma nelle critiche ingenerose ricevute dall’influencer si scorge quel carattere elitario e stantio di certo mondo culturale italiano, chiuso e autoreferenziale.

La Ferragni ha creato scalpore perché donna, giovane, bella e apparentemente estranea a quadri e statue. Insomma, la nemesi del vecchio trombone intellettuale, magari brizzolato e scravattato e dedito all’uso di un linguaggio forbito ottocentesco, che non saprebbe attirare al museo nemmeno la compagna in un giorno di ozio.

Risulta difficile da accettare a questo mondo che la donna sia diventata ricca “postando qualche selfie sui social”, perché parte dell’Italia cresciuta a bigottismo e ideologia non riesce ad oggi a comprendere che la Ferragni sia una grande imprenditrice di successo, avendo sfruttato la sua capacità di promuovere beni e servizi, facendo da apripista per il nostro mercato per una rivoluzione del marketing. E oggi, fatturerebbe decine di milioni di euro all’anno, cifre che gran parte dei musei italiani non incasserebbe nell’arco di una vita umana.

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I precedenti di successo dei Ferragnez

Non è la prima volta che Ferragni finisce nel mirino dei tromboni. Meno di due anni fa, raccolse critiche l’acqua da lei sponsorizzata e che sugli scaffali di alcuni supermercati a Milano venne venduta anche a 8 euro al litro. “Immorale” si disse, come se qualcuno obbligasse ad acquistarla e il cliente non fosse libero di scegliere. L’odio social per la Ferragni è accresciuto probabilmente dal fatto che la bella cremonese di nascita e mezza siciliana da parte di madre sia sposata a un altro fenomeno di internet: il cantante Fedez. La coppia è ormai nota come #Ferragnez. Insieme, fanno oltre 31 milioni di follower su Instagram.

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I due si sono sposati due anni fa a Noto, in Sicilia. Il matrimonio fu preceduto da settimane di vera campagna pubblicitaria della splendida località del siracusano. E sapete cos’è accaduto? Un sondaggio condotto nei mesi successivi da Klaus Davi & Co su un campione di 560 turisti stranieri di età compresa tra 21 e 50 anni trovò che la loro prima meta preferita per venire in vacanza in Italia fosse proprio Noto.

Ora, risulta assai improbabile che la cittadina fosse così conosciuta prima delle nozze dei Ferragnez. Possibile che in cima alla lista delle priorità non vi fossero le ben più conosciute Roma, Venezia, Firenze o Rimini?

Ebbene, anche quello fu un evidente “effetto Ferragni”, che in questa stranissima e triste estate post-Covid sta facendo sperare gli abitanti della Puglia, dato che la coppia ha deciso di trascorrere in questa regione le sue ferie, ovviamente con tanto di foto realizzate qua e là e postate sui profili social. E questa “arte” non va giù ai soloni, gli stessi che anni fa attaccarono a testa bassa l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, il quale si rese artefice della battuta infelice “con la cultura non si mangia”. Adesso che qualcuno vuole smentire questo pensiero e cerca di utilizzare gli strumenti moderni per arrivare a un vastissimo ed eterogeneo pubblico per rendere la cultura un bene fruibile dalle masse, ecco che gli addetti ai lavori si stracciano le vesti nel malcelato tentativo di custodire l’elitarismo del loro mondo, gran parte del quale effettivamente non ha mai voluto rendersi popolare e non tiene affatto ad andare incontro al mercato, preferendo conservare quell’aria sacrale e di muffa stantia che fa tanto chic nei salotti giusti.

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