La secessione della Catalogna non s’ha da fare. Lo hanno chiarito espressamente i vertici della UE nei giorni seguenti al referendum. Contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati da Bruxelles, la condanna delle violenze perpetrate ai seggi da parte della polizia spagnola non è arrivata. Le istituzioni comunitarie non hanno espresso alcuna solidarietà al popolo catalano, anzi è arrivata una dura reprimenda del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che ha chiarito come non sia immaginabile che si persegua la frammentazione nell’area con l’esasperazione dei vari regionalismi.

Il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, si concentra sul “rispetto delle regole” e si dichiara fermo sostenitore dell’unità spagnola, mentre il presidente della UE, Donald Tusk, si è limitato via Twitter a chiedere lo stop all’escalation di violenze, ma chiarendo di “condividere” il punto di vista costituzionale del premier spagnolo Mariano Rajoy. (Leggi anche: Spagna senza Catalogna, come sarebbe Madrid con la secessione di Barcellona)

Le ragioni di tale posizione di Bruxelles sono evidenti: nessuno potrebbe permettersi oggi di strizzare l’occhio a una o più regioni indipendentiste, salvo perdere l’appoggio degli stati nazionali. Se la UE tendesse la mano alla Catalogna indipendente, si ritroverebbe la Spagna al di fuori delle sue istituzioni, ovvero la quarta economia dell’Eurozona. Né gli altri governi accetterebbero mai che le istituzioni europee indebolissero gli stati sovrani, perseguendone la disgregazione. Sarebbe la fine anche della UE stessa, già ingovernabile a 27-28 stati, figuriamoci se il numero dei membri crescesse e a parità di perimetro e popolazione.

Calalogna indipendente sarebbe fuori dalla UE

Ieri, Bruxelles è stata ancora più chiara, quando ha fatto presente ai leader catalani che separandosi dalla Spagna, la regione sarebbe sbattuta anche fuori dalla UE. Si tratta dell’applicazione della cosiddetta “dottrina Prodi”, dal nome dell’ex presidente della Commissione europea (1999-2004), nonché il due volte premier italiano (1996-1998 e 2006-2008).

Secondo tale tesi, un’entità che si rendesse indipendente dal suo stato di appartenenza dovrebbe anche lasciare la UE ed essere successivamente riammessa solo nel caso in cui l’indipendenza fosse stata ottenuta seguendo le regole costituzionali.

Così stando le cose, la Catalogna indipendente resterà un sogno per il suo leader Carles Puigdemont, perché è evidente che se esistono già dubbi sull’effettivo seguito interno che avrebbe oggi la proclamazione della secessione dal resto della Spagna, molto improbabile sarebbe che una fetta significativa di popolazione catalana fosse oggi disposta a mettere a repentaglio quel benessere sbandierato come orgoglio contro Madrid, dato che la regione dovrebbe lasciare la UE con tutti i benefici ad essa connessi, in termini di accordi commerciali con il resto del mondo, relazioni economiche con il resto d’Europa e anche di moneta. Già, perché fuori dalla UE si sarebbe anche senza euro. Barcellona potrebbe anche continuare ad adottare unilateralmente la moneta unica, come oggi fa fuori dall’Eurozona e dalla stessa UE il Montenegro, ma non sarebbe la stessa cosa, specie se con la secessione dovesse fare i conti anche la prevedibile fuga dei capitali. A tale riguardo, Banco Sabadell SA ha annunciato di avere un piano per lasciare la Catalogna, mentre potrebbe seguirlo CaixaBank SA, che è anche il simbolo della forza finanziaria della regione, nonché terza banca per dimensioni in Spagna. E tre altre società, come Abertis, Catalana Occidente e Gas Natural SDG, la cui capitalizzazione complessiva in borsa ammonta a 40 miliardi, prenderebbero in considerazione tale possibilità, nel caso in cui Barcellona s’intestardisse a dichiarare l’indipendenza unilateralmente. (Leggi anche: Secessione Catalogna incentivata dall’euro?)

La secessione della Catalogna resterà un sogno

Prendiamo il Regno Unito, che da un anno si dilania al suo interno sul modo migliore per attuare la Brexit.

Eppure, si tratta di uno stato sovrano, che avrebbe molta più facilità nel sostituire gli accordi commerciali con il resto del mondo con altri identici o simili, semplicemente rinegoziandoli. Nel caso della Catalogna sarebbe molto più difficile, perché la secessione avverrebbe in contrasto con la Spagna. Chiunque all’estero accettasse di concedere a Barcellona simili condizioni commerciali se la vedrebbe non solo con Madrid, ma anche con Bruxelles. Immaginate, ad esempio, che gli USA si mettano contro un mercato di quasi mezzo miliardo di consumatori (oltre 500 milioni con i britannici) per stringere un’intesa con 7,5 milioni di catalani?

Commentando il referendum di domenica scorsa, vi chiarivamo come l’euro e la UE avrebbero incentivato gli spiriti indipendentisti, perché oggi come oggi separarsi dal resto dello stato di appartenenza in Europa comporta un costo enormemente più basso di un tempo. In teoria, infatti, se la Catalogna riuscisse ad ottenere l’indipendenza dalla Spagna e allo stesso tempo rimanesse nella UE e nell’euro, non dovrebbe cambiare moneta, né rinegoziare alcun accordo commerciale o subirebbe alcuna modifica nelle relazioni economiche con il resto degli stati comunitari. La musica cambia, tuttavia, se tale automatismo salta, se la secessione comportasse l’addio anche alle istituzioni comunitarie. In quel caso, altro che costi minimi, sarebbe un disastro. Ed è esattamente quello che Bruxelles ha fatto recapitare a Barcellona, ragione per cui l’indipendenza della Catalogna non ci sarà, che Puigdemont la proclami o meno. Ci saranno solo mesi di tensione e, c’è da scommetterci, i catalani saranno tra i nuovi euro-scettici. (Leggi anche: Catalogna indipendente non ci sarà, caos in Spagna sì)