Non è una fase positiva per le economie che hanno adottato un cambio fisso contro il dollaro, generalmente molti anni or sono, ma che in virtù dei profondi cambiamenti macroeconomici degli ultimi tempi, non mostra più di essere sostenibile. E se il “peg” tra lira egiziana e divisa USA è saltato all’inizio di novembre, comportando una svalutazione di circa il 50%, c’è un altro paese che potrebbe essere costretto prima o dopo a fare i conti con una libera fluttuazione del cambio: la Nigeria.

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Lo stato più popoloso dell’Africa e considerato fino a un paio di anni fa la stella del continente nero, per via della sua crescita economica promettente, sta subendo da tempo i contraccolpi della crisi del petrolio, le cui quotazioni si sono più che dimezzate rispetto a quelle di metà 2014. Quest’anno, poi, lo scontro tra il presidente Muhammadi Buhari e i guerriglieri del Niger Delta ha spinto questi ultimi a sabotare alcuni pozzi, decimandone la produzione, scesa complessivamente nella tarda primavera ai minimi dal 1989.

Il cambio fisso nigeriano vacilla ancora

La Nigeria adotta un cambio fissa tra naira e dollaro sin dal 2014, quando la banca centrale, retta dal governatore Godwin Emefiele, introdusse un tetto di 200, oltre a restrizioni nei movimenti dei capitali e negli scambi commerciali, limitando le importazioni di numerosi beni. Ne derivò una grave carenza di dollari, che ha creato profondi disagi tra la popolazione.

La crisi valutaria è così grave, che già nel mese di giugno di quest’anno, la stessa banca centrale è stata costretta a svalutare il tasso di cambio ufficiale a 280, anche se ormai è salito in area 315, segnando un crollo del 37% rispetto al peg precedente. Ma non è finita, se è vero che al mercato nero, si scambiano 470 naire per un dollaro, segnando una distanza del 33% rispetto al tasso ufficiale e frustrando i tentativi delle autorità locali di porre un freno alla svalutazione.

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Un mercato nero nel mercato nero

Quello che sta succedendo in Nigeria, però, ha del curioso, perché non solo la banca centrale ha fissato un cambio ufficiale molto più forte dei fondamentali, ma con alcuni blitz effettuati dagli agenti della sicurezza tra i cambia-valute illegali, è stato loro imposto di non scambiare naire contro dollari a un tasso superiore a 400.

In sostanza, le autorità nazionali hanno introdotto un cap persino sul mercato nero, che per definizione sarebbe sfuggente ai controlli ufficiali. Si è creato così un mercato parallelo, all’interno dello stesso mercato nero. Diversi agenti di cambio fuori legge, infatti, offrono dollari contro naire a tassi superiori al 400 imposto, ma solo a una cerchia ristretta di clienti, quelli di cui maggiormente si fidano, volendo evitare di finire in galera, come hanno minacciato le autorità.

Ci sono due buone notizie, però, per la pur inefficiente banca centrale nigeriana. La prima è che l’accordo OPEC, prossimo ad essere raggiunto alla fine di questo mese, per quanto possa essere di breve respiro, darebbe al paese africano il tempo di respirare un po’, essendo la sua economia basata sulle estrazioni di petrolio. Secondariamente, i contratti forward a un anno segnalano che tra 12 mesi il mercato si attenderebbe un cambio a quota 442, cioè del 29% più debole di quello attuale ufficiale, ma un po’ più basso di quello vigente oggi al mercato nero. Quanto meno, la pressione sull’istituto potrebbe non crescere più nei prossimi mesi, sempre che tutto vada nel verso giusto. (Leggi anche: Petro-valute sotto pressione e ora capitola la Nigeria)