E’ la prima riunione del board della BCE di quest’anno e la conferenza stampa che lo seguirà, come al termine di ogni appuntamento, non sarà granché facile per il governatore Mario Draghi, che dovrà guardarsi bene dal creare scompiglio sui mercati finanziari. Il cambio euro-dollaro è salito oltre 1,24, portandosi ai massimi da 39 mesi e guadagnando il 3% da inizio anno. Il dato riflette, in verità, una debolezza di fondo del dollaro, che in queste prime settimane del 2018 ha perso mediamente il 3%, scendendo ai livelli più bassi da inizio novembre del 2014.

In sostanza, non sarebbe la moneta unica ad apprezzarsi, bensì il biglietto verde a indebolirsi. E a confermarlo vi sarebbe un altro dato: il cambio medio ponderato dell’euro si è rafforzato quest’anno solamente dello 0,5%. (Leggi anche: Dopo Draghi, un tedesco alla BCE? Italia rischia da spartizione cariche europee)

Tuttavia, gli analisti mettono in guardia già dal 2017 sull’eccessivo rafforzamento del cambio euro-dollaro, che se si allontanasse troppo e stabilmente da quota 1,20, rischierebbe di frenare la ripresa economica nell’Eurozona. Questa dovrebbe proseguire spedita quest’anno. La BCE ha alzato a dicembre dall’1,8% al 2,3% le attese di crescita del pil per il 2018. D’altra parte, l’inflazione continua a restare sotto il target di poco inferiore al 2% e le stesse stime dell’istituto non vedono una risalita verso l’obiettivo da qui al 2020. A dicembre, anzi, il tasso d’inflazione è leggermente arretrato all’1,4%.

I rischi di fare tardi o presto

Vero è anche, però, che le quotazioni del petrolio sono salite anch’esse ai massimi da tre anni, con il Brent ad avere sfondato i 70 dollari al barile, attestandosi adesso a valori del 12% più alti di quelli attesi dall’Eurotower a dicembre. Dall’ultimo board, ha guadagnato il 10%. E poiché il petrolio impatta sull’inflazione, l’istituto dovrà prestare parecchia attenzione a non sottovalutare troppo tali dinamiche, altrimenti rischia di commettere l’errore tragico della Federal Reserve del 2004, quando iniziò ad alzare i tassi troppo tardi e finì per farlo per 17 volte di seguito al ritmo di un quarto di punto percentuale a ogni board, ma creando le condizioni ideali per una crisi finanziaria, che qualche anno più tardi avrebbe travolto non solo l’economia americana, bensì, soprattutto, quella mondiale.

Draghi ha adesso due timori: mostrarsi “falco” in conferenza stampa e spingere il mercato verso un ulteriore apprezzamento del cambio euro-dollaro, con impatto negativo sia sull’inflazione che sulla crescita del pil nell’area, allontanandola dall’obiettivo della stabilità dei prezzi; apparire “colomba”, con relativo indebolimento dell’euro, amplificando le possibili conseguenze del rincaro del greggio sull’inflazione e costringendo l’istituto a cambiare più velocemente delle attese la propria “forward guidance”, contrariando il mercato. (Leggi anche: Forward guidance, cos’è e come potrebbe cambiare presto)

BCE teme super euro

Un paio di settimane fa, quando furono pubblicate le minute dell’ultima riunione del board di dicembre, emerse che i governatori centrali dell’unione monetaria discussero di modificare la guidance già a inizio 2018 e si speculò che le novità sarebbero emerse già da oggi. L’istituto ha utilizzato subito gli strumenti informali tipici di una banca centrale per raffreddare le aspettative, esternando prudenza, a fronte di un’inflazione non vicina all’obiettivo e che a dicembre ha compiuto un passo indietro e non avanti.

Ecco, quindi, che molto difficilmente oggi Draghi leggerà qualche novità nel testo del comunicato ufficiale. Più probabile, che reiteri la necessità di sostenere la ripresa dell’inflazione con gli stimoli monetari, prendendo tempo, in attesa che con il board di metà marzo, Francoforte proietti le nuove stime macroeconomiche per il triennio in corso, deducendone spunti per un eventuale cambio di rotta della politica monetaria.

Questo sarà certamente non brusco e sequenziale. Draghi lo ripete da anni con i comunicati post-board: i tassi saliranno solo dopo che sia passato un po’ di tempo dalla fine degli acquisti di assets con il “quantitative easing”. Considerando che la fine del programma sia stata fissata al settembre prossimo, di un rialzo dei tassi sentiremo parlare non prima dei 12 mesi da oggi, volendo azzardare. Il mercato stima, ad esempio, che l’anno in cui i tassi verranno maggiormente innalzati sia il 2020 con poco più di 35 punti base, mentre per l’anno prossimo prevede meno di 35 bp in più e per quest’anno appena 7,5 bp in più. In realtà, sappiamo come basti un solo spunto per stravolgere queste aspettative.

Sarà interessante verificare la reazione del mercato forex alla conferenza stampa di Draghi delle ore 14.30. Se i toni saranno interpretati come “dovish”, assisteremo probabilmente a un ripiegamento del cambio euro-dollaro, altrimenti resta da vedere fino a quale punto si porterà. Il superamento della soglia di 1,25 potrebbe rappresentare un contraccolpo psicologico importante, perché a quel punto sarebbe percepito come possibile il raggiungimento di 1,30 quale prossimo obiettivo. Per questo, Draghi dovrebbe mostrarsi ancora abbastanza colomba, pur soddisfatto dei ritmi di crescita economica e segnalando forse rischi tendenzialmente al rialzo su pil e inflazione, ma non indietreggiando per ora sul QE. (Leggi anche: Cambio euro-dollaro sopra 1,20 e BCE subito corre ai ripari)

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