Domenica scorsa, a 12 anni esatti dalla sua nascita, le quotazioni del Bitcoin hanno toccato il nuovo massimo storico di 34.782 dollari, salvo crollare nelle ore successive di ben il 17%. Ieri, si attestavano in area 31.400 dollari, confermando una certa volatilità tipica della “criptovaluta”, pur nettamente inferiore alla sua media storica. Sempre ieri, gli analisti di JP Morgan non hanno escluso un nuovo boom dei prezzi per quest’anno, dopo che il valore è quadruplicato nel corso del 2020. Essi hanno stimato un target fino a 146.000 dollari.

A questo valore, il mercato dei Bitcoin capitalizzerebbe esattamente quanto attualmente gli investimenti del settore privato in oro e tramite ETF, monete e lingotti.

In effetti, il valore di tutte le 18,59 milioni di monete coniate nell’intero pianeta si attesta sui 585 miliardi di dollari, circa 4,6 volte inferiore a quello del mercato degli investimenti privati nel metallo. Moltiplicando tale fattore per le quotazioni di ieri, si arriva per all’appunto ai suddetti 146.000 dollari. L’analisi parte dalla premessa che la “criptovaluta” tenderà a raggiungere il mercato aureo, in un certo senso ponendovisi in concorrenza. La stessa banca d’affari, tuttavia, avverte che, a suo avviso, ancora per quest’anno non sussisterebbero le condizioni per una risalita stabile verso tali livelli, ovvero i prezzi potranno anche esplodere così come l’anno scorso, ma risulterebbero insostenibili.

La corsa dei Bitcoin non si ferma, raggiunge Tesla e dilaga come mezzo di pagamento

Il rapporto tra Bitcoin e oro

Il boom di questi mesi è senz’altro frutto di varie cause. La prima consiste nella crescita di interesse tra i grossi investitori, sino a qualche mese fa restii ad entrare su questo mercato. Secondariamente, i Bitcoin avanzano tra i metodi di pagamento, tra l’altro essendo stati accettati come tali anche da PayPal, colosso con oltre 320 milioni di clienti nel mondo. Infine, l’asset viene percepito come tendenzialmente deflattivo, in una fase in cui gli assets tradizionali concorrenti appaiono inflazionati.

In un certo senso, il successo dei Bitcoin misura la sfiducia del mercato verso l’universo finanziario manipolato dalle azioni delle banche centrali e segnala l’abbondanza di liquidità disponibile.

A tale proposito, non possiamo che notare quanto ancora oggi l’insieme delle monete digitali incida per una percentuale marginale rispetto al valore complessivo dei mercati obbligazionari e azionari. Questi ultimi nel loro insieme ammontano a circa 217 mila miliardi di dollari, 245 volte quanto tutte le “criptovalute” e 370 volte i soli Bitcoin. Questi numeri ci fanno capire quanto basti poco per far esplodere le quotazioni di questi ultimi. Se anche solo un millesimo dei capitali investiti in bond e azioni venisse deviato verso di loro, oltre 200 miliardi vi affluirebbero, impattando in misura enorme sulle quotazioni.

In effetti, quando affermiamo che la finanza tradizionale stia volgendo lo sguardo verso questo mondo sinora semi-ignorato e persino temuto, non stiamo sostenendo che le case d’investimento stiano puntandovi chissà quale quantità di denaro, semplicemente che ciò sia sufficiente per spingere in alto i prezzi, data la disparità iniziale dei numeri in gioco. E proprio per questo, gli stessi finanzieri ritengono che le “criptovalute” abbiano grosse potenzialità: bastano investimenti marginali e stabili per tenere alti i prezzi, sfruttando l’offerta limitata e fissata sin dalla nascita fino a un massimo di 21 milioni di unità. Un oro virtuale, insomma, che si distinguerebbe da quello fisico per il mancato riconoscimento globale come riserva di valore nel tempo. Chissà se la minore volatilità futura, unitamente al crescente impiego per i pagamenti, non porti a un cambio di atteggiamento e all’equiparazione al metallo, a partire dalle nuove generazioni.

Il 2021 sarà ancora l’anno dei Bitcoin dopo i prezzi quadruplicati nel 2020?

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