Il debito pubblico italiano non fa dormire sonni tranquilli ormai a tutti i 14 governi che si sono succeduti nell’ultimo quarto di secolo, da quello a guida Giuliano Amato tra il 1992 e il 1993 all’ultimo del premier uscente Paolo Gentiloni. La sua entità è arrivata a 2.256,1 miliardi di euro alla fine dello scorso anno, incidendo per quasi il 133% del pil. Grazie al “quantitative easing”, con la BCE ad acquistare titoli di stato dell’Eurozona sin dal marzo di tre anni fa, i rendimenti nell’area si sono schiantati ai minimi storici, compresi quelli dell’Italia, facendoci risparmiare diverse decine di miliardi per effetto del minore costo di rifinanziamento del debito pubblico in scadenza.

Una boccata di ossigeno per i governi Renzi-Gentiloni, che ha parzialmente nascosto le difficoltà nella gestione di una montagna che non cessa di crescere di anno in anno nemmeno in rapporto al prodotto interno lordo, almeno fino ad oggi.

Debito pubblico, elezioni non spaventano investitori stranieri

E’ notizia di qualche giorno fa che le banche italiane hanno ceduto titoli di stato domestici in quantità record nell’ultimo trimestre dello scorso anno, pari a 40 miliardi di euro, detenendo così sui 340 miliardi. Le ragioni di queste vendite copiose sono diverse, tra cui l’atteso calo dei prezzi dei bond (aumento dei rendimenti) dopo anni di crescita, sostenuta proprio dagli acquisti della BCE, oltre che dalla ripresa dei corsi successiva al tonfo del 2011-2012.

Francoforte possedeva verosimilmente intorno ai 310 miliardi di BTp alla fine dello scorso anno e al settembre prossimo, quando il QE dovrebbe cessare, si sarà portata a quota 350 miliardi. A meno che le banche italiane non tornino ad acquistare – ipotesi poco probabile – l’Eurotower risulterà da qui a pochi mesi il nostro primo creditore, cosa che in sé rappresenta una buona e una cattiva notizia allo stesso tempo.

Chi rimpiazza le banche sui BTp?

Il trend appare segnato: le banche italiane continuano a vendere titoli del nostro debito e la BCE continua a comprarli e li terrà in portafoglio ancora a lungo, anche dopo che il QE sarà cessato, dato che la liquidità verrà reinvestita man mano che i titoli arriveranno a scadenza, sebbene formalmente non sia mai stato chiarito se negli stessi titoli o in altri assets. Un fatto è certo: gli investitori italiani detengono i due terzi del debito pubblico nazionale, quelli stranieri meno di un terzo. E tra questi troviamo proprio la BCE, con una quota che si aggira oggi intorno al 13-14%, ma tra cui quella in possesso di Bankitalia, che formalmente realizza l’80% degli acquisti. In altre parole, gli investitori stranieri non pubblici posseggono appena circa il 30% del nostro debito pubblico, quando nel 2010 si attestavano ancora al 52%, quasi un dimezzamento, che non funge da buon auspicio per il futuro.

Banche italiane in fuga dai BTp, ecco cosa sta accadendo

Il sistema assicurativo italiano detiene poco più di un sesto del nostro debito sovrano, Bankitalia oltre un decimo e le famiglie appena un 6%, meno di quanto quelle tedesche, ad esempio, si trovino in casa i pregiati Bund (9%). Cosa succederà quando la BCE smetterà di acquistare i nostri BTp, al più tardi dall’anno prossimo? Servirà trovare nuovi acquirenti e l’operazione non appare semplice, perché i grandi sostituti sarebbero, in teoria, le banche e le assicurazioni italiane, nonché le banche d’affari straniere. Tuttavia, le prime saranno gravate da vincoli più stringenti, che la BCE intende introdurre o almeno appoggiare, consistenti in criteri più rigidi nella detenzione dei bond pubblici e forse pure imponendo un tetto massimo legato ai valori patrimoniali. E risultando già le banche tricolori molto esposte verso il Tesoro, difficile ipotizzare che effettueranno acquisti netti nei prossimi mesi e anni.

Rendimenti in ascesa

Le banche d’affari straniere potrebbero riscoprire l’appetito per il nostro debito, se non fosse che i rendimenti dei più sicuri Treasuries americani siano risaliti ai massimi da 4 anni a questa parte, mostrandosi ben più appetibili dei nostri bond, che oltre a rendere circa l’1% in meno sulla scadenza decennale, godono anche di un rating nettamente più basso. Dunque, perché mai comprare un decennale italiano ancora al 2% oggi, quando un biennale americano rende già lo 0,2% in più?

Austerità vera arriva con rialzo dei tassi

Restano assicurazioni e famiglie italiane. Le prime potranno certamente accrescere le detenzioni di BTp, ma fino a un certo punto. Nel lungo periodo, risulta difficile immaginare che si accollino da sole tutti i 350 miliardi che la BCE arriverà a detenere a fine QE. Quanto alle famiglie, notoriamente formiche, potranno credibilmente passare da una quota del 6% a una doppia o tripla da rimpiazzare un acquirente come Francoforte? Ovvio che no.

Rinegoziare il debito con la BCE non sarebbe più facile

E allora, questa rappresenta la grande incognita del nostro debito sovrano. Intendiamoci, gli acquirenti istituzionali si troveranno, ma versando loro cedole più cospicue e tagliando i prezzi all’emissione. Ciò implica maggiore spesa per servire il debito, ovvero più deficit, in assenza di coperture derivanti da tagli alla spesa e/o aumenti delle imposte. Da qui, lo spettro non solo teorico di una rinegoziazione del debito, specie nel caso in cui le condizioni politiche tendessero a peggiorare, anziché a schiarirsi nei prossimi anni. Non è più sostenibile un’economia a bassa o nulla crescita, con un malcontento e un indebitamento elevati.

Rinegoziare il debito pubblico sarebbe un’operazione molto complicata sul piano politico e segnerebbe la nostra storia creditizia per qualche secolo. In teoria, se si arrivasse a uno scenario del genere, meglio che i bond fossero in mano a pochi grandi investitori istituzionali, con i quali sarebbe più semplice interloquire e arrivare a un accordo.

E la BCE, per quanto indipendente, sarebbe un organismo “perfetto” con cui gestire eventuali allungamenti delle scadenze e taglio delle cedole, se non fosse che l’era Draghi si accinga a concludersi e avremmo a che fare con teste al comando dell’istituto meno accomodanti di quanto non lo siano state all’apice della crisi dello spread. Con un Jens Weidmann come governatore, ad esempio, da creditore perfetto, la BCE potrebbe trasformarsi in un incubo, se la storia della Grecia di questo decennio ci ha insegnato qualcosa.

Chiaramente, il nostro è un esercizio di pura estremizzazione di uno scenario, che in sé, sarebbe bene ammettercelo, non può essere escluso, dato che abbiamo un debito pubblico esploso quasi ai limiti della soglia di non ritorno, secondo le analisi internazionali, pur in presenza di condizioni monetarie mai così positive sui mercati. E dalla BCE non possiamo più aspettarci nuovi aiuti.

Debito pubblico, con la crisi buco da 300 miliardi da tappare

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