E’ drammatico l’appello di quest’oggi del premier uscente del Libano, Saad al-Hariri, rivolto ai paesi amici (Francia, USA, Arabia Saudita, Russia, Turchia, Cina ed Egitto), affinché inviino a Beirut aiuti indispensabili per consentire all’economia al collasso di continuare a importare beni di prima necessità, vale a dire cibo e materie prime per la trasformazione. Parigi apre agli aiuti per la sua ex colonia, programmando un incontro con le autorità libanesi. Intanto, la banca centrale ha adottato misure di emergenza per cercare di evitare il crollo delle banche locali.

Ha imposto un tasso d’interesse massimo del 5% sui depositi in dollari e uno dell’8,5% su quelli in lire libanesi, al contempo avvertendo che pagherà alle banche gli interessi maturati sui depositi in dollari per metà in lire, così come le banche saranno tenute a pagarle il 50% degli interessi sui depositi in dollari in valuta locale.

Queste misure puntano a salvaguardare le riserve valutarie, che nelle prime due settimane di novembre sono scese di 800 milioni di dollari, a seguito dei deflussi e dei mancati afflussi di valuta americana. E la banca centrale ha grosse responsabilità dietro al crac di queste settimane, scatenato dalle proteste di piazza che hanno provocato la caduta del governo. A oltre un mese dalle dimissioni di Hariri, manca la nomina del successore, sebbene pare che per l’uomo d’affari sunnita Samir Khatib sia cosa fatta. Dovrebbe guidare un esecutivo composto da tecnici, ragione per cui la minoranza cristiana in Parlamento critica la svolta, sostenendo che sia la risposta sbagliata alle richieste della piazza.

Le banche, dopo essere state chiuse per un paio di settimane e avere riaperto part-time dalla seconda metà di novembre, hanno imposto limitazioni ai prelievi con carte di credito e bancomat, limitandoli a 500 dollari a settimana. La ragione è semplice: sinora, erano andate avanti grazie agli afflussi di dollari dall’estero, attratti da tassi d’interesse elevati garantiti dalla banca centrale sui depositi in valuta americana.

Prima del taglio, si stimava che su di essi venisse riconosciuto non meno del 5,5% all’anno. Considerando anche che l’istituto da molti anni tiene fisso il cambio contro il dollaro, naturale che i capitali fluissero copiosi, specie dalla martoriata vicina Siria, a fronte di un rischio valutario sostanzialmente nullo.

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Sistema bancario vicino al crac

Adesso, quello che qualcuno definisce uno “schema Ponzi” sta venendo meno, con il pericolo di trascinare nel baratro l’intero sistema finanziario libanese. Perché? La banca centrale di Beirut detiene assets delle banche domestiche per 84,5 miliardi di dollari, tra riserve obbligatorie infruttifere, liquidità in eccesso e certificati di deposito. Al contempo, detiene 28,68 dei 53,75 miliardi di debito pubblico in lire e altri 3,4 su 15 miliardi di dollari in Eurobond. Praticamente, circa il 37% del debito sovrano libanese si trova nelle sue mani. Su di esso, riceve pagamenti annui per 1,4 miliardi, mentre alle banche deve corrispondere sui 4 miliardi all’anno. Al netto, segna interessi passivi per circa 2,6 miliardi.

Per questo, le riserve valutarie indicate dall’istituto in 38 miliardi sono stimate effettivamente assai più basse e adesso che dall’estero non affluiscono più dollari, tra timori geopolitici e rischio percepito di svalutazione del cambio, le banche sono rimaste a corto di nuovi depositi con cui pagare generosamente i clienti. Peccato che gli afflussi servano a coprire il disavanzo commerciale, che si attesta a circa il 30% del pil. Il Libano non produce quasi nulla, deve importare quasi tutto e per farlo ha bisogno di attirare dollari con qualsiasi artificio, almeno finché lo schema Ponzi dura.

Ora, però, il rischio default è ai massimi e la lira scambia sul mercato nero a una media di 2.000 contro un dollaro, circa il 25% in più rispetto al tasso di cambio ufficiale, segno che i libanesi siano a caccia di valuta forte, scontando una svalutazione imminente.

I controlli sui capitali imposti informalmente e in autonomia dalle banche stanno anche impedendo ai clienti siriani di riportare a casa i loro capitali, con la conseguenza che la lira di Damasco è crollata ai minimi storici. Insomma, una bomba ad orologeria sta per esplodere a quattro passi dall’Europa. E occhio alle schegge, perché arriverebbero fino alle nostre coste.

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