Le proteste in Libano di queste settimane contro la corruzione hanno portato alla caduta del governo presieduto dall’ex premier Saad Hariri, ma il nuovo esecutivo non è ancora nato e le tensioni politiche restano intatte, trasformandosi anche in economiche e finanziarie. Le banche sono rimaste chiuse per la seconda metà di ottobre e da questo mese sono aperte mezza giornata e alla loro riapertura di ieri sono state prese ulteriormente d’assalto da parte dei clienti, preoccupati per i loro risparmi.

Servono ormai i militari a presidiare le file dinnanzi alle filiali, mentre il governo ha imposto controlli sui capitali, tanto che l’espatrio di denaro è limitato a non meglio precisate “urgenze” e ogni settimane può essere ritirata col bancomat una somma massima di 1.000 dollari.

Ad oggi, i libanesi hanno avuto la possibilità di effettuare prelievi in banca sia in lire locali che in dollari americani. Le limitazioni di queste settimane li hanno pesantemente impressionati ed è partita la caccia alla divisa USA, che sul mercato nero scambia a 1 contro 1.900 lire, quando il tasso ufficiale risulta di oltre il 20% inferiore, cioè a circa 1.512, tenuto fisso dalla banca centrale.

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C’è così paura che la valuta locale possa crollare dopo essere stata verosimilmente sganciata dal dollaro, che la stampa estera riferisce che siano molti i proprietari di case che non accettano più l’affitto in lire e lo pretendono in valuta americana, chiaramente con gli inquilini a rifiutarsi di ottemperare a simili richieste. E nei ristoranti, le carte di credito e i bancomat non vengono più accettate come forma di pagamento in molti casi, perché i titolari hanno bisogno di liquidità e non si fidano delle banche. Dai menù sarebbero scomparse anche molte pietanze divenute difficili da cucinare per via delle carenti importazioni di questo periodo.

Boom di acquisti in gioielleria

Ma gli affari non vanno male a chiunque. I gioiellieri registrano un balzo delle vendite dalla metà di ottobre, spesso anche di un terzo, per via della ricerca di un rifugio da parte dei risparmiatori, i quali non potendo accedere più facilmente ai dollari, adesso si buttano sugli acquisti di oro. La paura si è radicata tra le famiglie, consapevoli che Beirut sia uno stato indebitato per ben il 150% del pil, qualcosa come 86 miliardi di dollari, per metà in valuta straniera, e ha bisogno dei capitali dall’estero per rifinanziare i suoi grossi “buchi” di bilancio, oltre che le stesse importazioni. Insomma, l’ipotesi di una maxi-svalutazione avanza e con essa la consapevolezza di milioni di libanesi che rischiano di perdere i loro risparmi e di subire gli effetti nefasti di una lievitazione dei prezzi, un po’ come avvenuto nell’Egitto di questi anni, successivamente alla svalutazione della sua lira.

E la protezione geopolitica sin qui garantita dall’Iran al Libano sta venendo meno, non fosse altro che per il semplice fatto che anche Teheran vive una fase convulsa sul piano economico, finanziario e politico con il ripristino delle sanzioni da parte degli USA sul suo petrolio. Non ribolle solo l’America Latina, ma anche il Medio Oriente, che sta a quattro passi dall’Europa meridionale.

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