I conti pubblici non quadrano. Le mance elettorali pre-referendarie del governo Renzi, come da previsioni, hanno esitato un “buco” da 3,4 miliardi di euro, lo 0,2% del pil. A tanto ammonta, secondo i calcoli della Commissione europea, la differenza tra il deficit concordato per quest’anno tra Roma e Bruxelles e quello che, in assenza di correzioni, l’Italia registrerebbe a fine 2017. Per questo, i commissari non si sono accontentati della promessa del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, di varare una manovra con la presentazione del Def a marzo, pretendendo che l’aggiustamento fiscale arrivi prima, altrimenti resta probabile l’apertura di una procedura d’infrazione per debito eccessivo, la prima della storia.

E se correzione deve essere, ecco arrivare una stangata su automobilisti e fumatori, attraverso l’aumento delle accise sulla benzina, gli altri carburanti e le sigarette.

Dei 3,4 miliardi necessari per evitare il commissariamento dell’Italia, è probabile che alla fine l’aumento delle tasse li copriranno per la metà. Dunque, alla pompa o in tabaccheria pagheremmo complessivamente tra gli 1,5 e i 2 miliardi. Sul piede di guerra i commercianti, che notano come si avrebbero conseguenza su tutti i consumatori italiani, dato che le maggiori accise sul carburante, in particolare, graveranno sui prezzi finali di tutti i prodotti trasportati. (Leggi anche: Aumenti IVA, accise benzina: rischio stangata da 25 miliardi in 3 anni)

Aumento accise è un vizio italico

Quella di puntare sulle tasche degli automobilisti è un vecchio vizio italiano. Sin dalla campagna bellica del Duce, i bilanci dello stato sono sempre stati tamponati con le accise. Lo scorso anno, considerando anche l’IVA, il Tesoro avrebbe incassato qualcosa come 33,8 miliardi dai consumi di carburante, di cui 25 per le sole accise. Considerando che la spesa complessiva per il comparto sia stimata in 50,6 miliardi, significa che i due terzi del prezzo che paghiamo alla pompa vanno allo stato.

Facciamoci due conti. Il prezzo medio della benzina su base nazionale si aggira adesso sugli 1,562 euro al litro. Esso sconta accise per 0,7284 euro al litro, a cui va aggiunta l’IVA al 22%. In totale, quindi, attualmente il 64,7% del prezzo della benzina è composto da tasse. Il resto è il costo industriale e il margine dei ricavi per la stazione di servizio. (Leggi anche: Ipotesi aumenti benzina, sigarette e IVA è solo un assaggio)

Aumento accise su benzina del 29% in 10 anni

Percentuali simili anche per il gasolio, che a fronte di un prezzo medio di 1,40 euro al litro, sconta un onere fiscale del 62%. Va meglio con il gpl e il metano, sui cui prezzi la pressione fiscale incide rispettivamente per il 43% e il 40%. Rispetto a un anno fa, quando le accise e l’IVA gravavano complessivamente fino al 70%, le percentuali risultano un po’ scese, ma per il solo fatto che le quotazioni del petrolio sono risalite negli ultimi mesi, trascinando in rialzo i prezzi dei carburanti e diluendo così un po’ il peso della tassazione.

Negli ultimi dieci anni, tra maggiori accise (+29%) e aumenti di IVA (+10%), il peso medio del fisco sul prezzo della benzina è aumentato di circa il 12%. Nel 2007, infatti, accise + IVA rappresentavano il 52,8% del prezzo alla pompa, quando ancora questo si attestava mediamente sotto 1,30 euro al litro. Se avessimo mantenuto invariate le aliquote dell’una e dell’altra tassa, oggi sborseremmo circa 13 centesimi al litro in meno al litro, come dire che pagheremmo la benzina sugli 1,43 euro. (Leggi anche: Europa ci chiede di aumentare IMU, IVA e accise)