Domenica 8 gennaio, migliaia di sostenitori dell’ex presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, hanno assaltato i principali edifici del potere nella capitale, facendo irruzione al Congresso, nel palazzo presidenziale e in quello della Corte Suprema. Gli sgomberi sono avvenuti dopo ore di scontri con la polizia. Gli arrestati sarebbero diverse centinaia e il presidente Lula ha ottenuto dai giudici la rimozione del governatore di Brasilia, Ibaneis Rocha, accusato di avere assistito indenne alle manifestazioni di protesta. Nel frattempo, dalla Florida Bolsonaro nega di essere a capo di quello che i media vicini al nuovo presidente definiscono un “tentato golpe”.

Non solo Brasile in fiamme

La situazione in Brasile è tesa da settimane. Ad ottobre, Lula vinse al secondo turno delle elezioni presidenziali per un soffio. Bolsonaro non ha accettato la sconfitta, adombrando possibili brogli. Uno scontro, che sembra un remake di quanto avvenuto nell’ultimo anno e mezzo in Perù. Qui, a sorpresa aveva vinto nell’estate del 2021 il candidato marxista Pedro Castillo. Anche in quel caso, gli avversari parlarono di brogli. Dall’insediamento, il presidente dovette affrontare una dura opposizione in Parlamento, nelle piazze e nelle aule di tribunale con varie accuse di corruzione e malaffare. E’ finita che Castillo è stato rimosso dall’incarico poche settimane addietro e arrestato con l’accusa di tentato golpe per avere sciolto il Congresso poco prima che votasse la sua destituzione.

In Bolivia, qualcosa di simile accadde nel 2019 con le dimissioni di Evo Morales, appena vittorioso di un terzo mandato incostituzionale. Le manifestazioni di piazza convinsero il presidente a lasciare l’incarico e il paese per non rischiare una cacciata sanguinaria. Ma l’apoteosi dello scontro politico in America Latina si ha nel Venezuela di Nicolas Maduro, democrazia solo di facciata. Da quasi un quarto di secolo, Caracas è in mano a un gruppo di sinistra estremista, che ha portato il paese nell’orbita di Cuba e allontanato dall’Occidente.

Qui, ammontano a centinaia i manifestanti uccisi in strada e altrettanti gli arresti tra gli oppositori politici.

America Latina instabile persino in Cile

Non scherza neppure l’Argentina. I peronisti al potere sono più impopolari che mai, hanno perso dopo decenni la maggioranza al Congresso e la numero due dell’amministrazione, l’ex “presidenta” Cristina Fernandez de Kirchner, è stata condannata per corruzione. Rischia l’arresto alla fine del mandato, che scade quest’anno. Nel frattempo, inflazione prossima al 100% e pesos diventati carta straccia. Alta tensione politica, che non risparmia il Cile, fino a poco tempo fa il più stabile paese dell’America Latina e culla del liberismo sudamericano. Le manifestazioni violente di fine 2019 provocarono decine di morti. Sull’onda della protesta sociale, a fine 2021 vince il marxista Gabriel Boric. L’Assemblea Costituente eletta per riscrivere la Carta era già in stragrande maggioranza nelle mani di rappresentanti di estrema sinistra. Ma lo stesso Boric risulta molto impopolare e ha perso il referendum costituzionale.

La stessa Colombia ha vissuto qualcosa di molto simile. Proteste contro il presidente conservatore Ivan Duque Marquez e vittoria del candidato marxista Gustavo Petro. Cambiano i nomi, i luoghi, non la sostanza: l’America Latina brucia. E la fiamma è stata accesa dalle tensioni che si registrano tra la popolazione che produce ricchezza e quella che la consuma. Il caso del Brasile è emblematico. Lula è stato presidente per due mandati tra il 2003 e il 2011, riportando un discreto successo nella gestione dell’economia per effetto del boom delle materie prime, finito il quale il paese era entrato in stagnazione. Bolsonaro aveva vinto per il disgusto di larghi strati della popolazione verso la corruzione e l’assistenzialismo.

Scontro tra ceti produttivi e assistiti

Ovunque, stesso discorso. C’è una sinistra che punta a rappresentare i ceti più poveri e che promette maggiore assistenza sociale.

A pagare il conto è il ceto produttivo, che si sente colpito e minacciato da politiche fiscali punitive e dai controlli ai flussi dei capitali. Queste due parti dell’America Latina non si capiscono e neppure si parlano. I poveri credono di essere vittime del sistema, il ceto medio di dover sostentare una larga parte della popolazione nullafacente. Equità ed efficienza economica fanno a pugni tra loro e il compromesso politico appare complicato.

Ma il Brasile è la dodicesima economia del mondo, prima in America Latina. Con un PIL di oltre 1.600 miliardi di dollari nel 2021 e una popolazione di oltre 214 milioni di abitanti, quel che succede qui ha eco globale. E forse l’assalto di ieri ha attirato la giusta attenzione verso gli accadimenti in quest’area del pianeta così bollente e tanto ignorata da anni dall’Occidente.

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