Gabriel Boric è il presidente eletto del Cile e s’insedierà a Palacio de La Moneda il prossimo 11 marzo. Segna la fine di una lunga era eccezionalmente positiva nell’America Latina e non sono in pochi a credere che il futuro si presenti incerti e pieno di rischi. Lunedì, il peso cileno ha perso il 3,3% contro il dollaro, scivolando ai nuovi minimi storici. Quest’anno, segna -18%. Il suo rivale Jose Antonio Kast era un aperto ammiratore di Augusto Pinochet, il dittatore che guidò il Cile tra il 1973 e il 1990.

Uno scontro inedito in queste elezioni tra due fazioni radicalmente opposte. Boric è stato a capo del movimento studentesco, che nell’autunno del 2019 quasi portò alle dimissioni il governo del presidente Sebastian Pinera con manifestazioni oceaniche contro il carovita e le disuguaglianze sociali. Tutto nacque da un marginale aumento del costo dei biglietti della metro. Vi furono proteste violente, i morti ammontarono a una ventina, principalmente giovani.

Prima della vittoria di Boric vi era stata l’elezione dell’assemblea costituente per riscrivere la Carta fondamentale lasciata in eredità proprio da Pinochet. E i tre quarti degli eletti sono stati rappresentanti di estrema sinistra o indipendenti. In sostanza, il bipolarismo tra destra e sinistra moderate è finito. Il 35-enne di origini croate ha vinto con un programma radicale. Promette di smantellare il sistema previdenziale per renderlo pubblico, nonché di alzare le tasse di 5 punti rispetto al PIL. Una stangata sui redditi alti, che fa già tremare. Inoltre, paventa nazionalizzazioni nel settore minerario. E qui a tremare sono gli investitori stranieri.

I buoni dati dell’economia cilena

Eppure, il Cile è tutt’altro che un’economia malmessa. Vanta un PIL pro-capite di 15.000 dollari, un tasso di occupazione sopra il 58% prima della pandemia, che si confrontava con il 43-44% dell’Argentina e il 54% del Brasile, le due grandi economie dell’America Latina.

La pressione fiscale si aggira intorno al 20%, meno della metà di paesi come l’Italia e contro il 33-34% della media OCSE. Paradossalmente, il malcontento dei cileni è stato un po’ figlio del benessere: poiché la popolazione sta relativamente bene, si aspetta(va) servizi pubblici ancora più evoluti e a prezzi più bassi, oltre che a minori disuguaglianze sociali.

Il Cile è stato un modello per le pensioni fino ad oggi. Sotto Pinochet, il sistema fu privatizzato. Ogni lavoratore versa i contributi a un fondo pensione privato. I tassi di rendimento annui sono stati altissimi e il mercato dei capitali è diventato prospero, liquido ed efficiente. Ma questo sistema ha avuto un costo: poiché inizialmente c’è stata una generazione di lavoratori costretta a pagare per mantenere il sistema pubblico, gli accantonamenti ai fondi privati sono stati bassi, con la conseguenza che mediamente oggi un pensionato percepisce un assegno pari a meno di un terzo dell’ultimo stipendio. In Italia, tanto per fare un confronto, siamo ancora al 75%.

La fine del neoliberismo in Cile?

Boric vuole smantellare questo sistema per tornare a quello pubblico. Sarebbe un grosso danno per l’economia cilena per diverse ragioni. In primis, farebbe svanire in un solo colpo l’abbondante liquidità sui mercati, rendendoli meno efficienti e costosi. A pagarne il prezzo sarebbero gli stessi cileni, su cui ricadrebbero i maggiori costi dell’indebitamento pubblico e il peggioramento delle condizioni finanziarie nella sfera privata. Secondariamente, il Cile imiterebbe i fallimentari sistemi previdenziali dell’Occidente, che si reggono sull’equilibrio demografico tra generazioni. Le basse nascite hanno messo a nudo tali criticità. Infine, rischia di smantellarlo proprio quando inizierebbe a funzionare. Il peggio è alle spalle. I lavoratori negli ultimi anni non sono stati più costretti a pagare i contributi per mantenere il sistema pre-Pinochet, per cui in futuro avranno pensioni più alte.

Per non parlare della solidità fiscale. Debito pubblico sotto il 30% del PIL prima della pandemia (quasi a zero nel 2007), rating A/A-/A1 e rendimenti a 10 anni sotto il 3% a inizio anno. E che dire dell’inflazione? Mentre economie sudamericane come Argentina e Venezuela sono cronicamente alle prese con problemi di instabilità dei prezzi, qui il tasso medio negli ultimi 25 anni è stato del 3,3% all’anno. A dirla tutta, il Cile è stato un esempio di successo del neoliberismo, un fatto imbarazzante per i detrattori delle politiche di Pinochet. Ovviamente, tutto è perfettibile, sebbene Boric voglia buttare a mare il bambino con l’acqua sporca. E non a caso ha ammesso di voler fare del paese andino la “tomba del neoliberismo”. Con la speranza che, per seppellirlo, non scavi la fossa ai suoi 19 milioni di abitanti.

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