Il rendimento tedesco a 10 anni è salito ai massimi da gennaio 2020, ma nei giorni scorsi era arrivato al livello più alto da due anni, al -0,20%. Il livello dello spread, pur non ancora di allarme, è lievitato anch’esso. La distanza con i Bund lievita in area 110 punti base, cancellando il cosiddetto “effetto Draghi”. Questo aveva consentito a inizio febbraio ai nostri bond di apprezzarsi, riducendo il differenziale con la Germania fin sotto i 90 punti base.

Potrebbe sembrare ridicolo anche solo dissertare di allarme spread con livelli come questi, abituati come siamo a ben altri differenziali.

Tuttavia, con Mario Draghi come premier, obiettivamente la risalita delle ultime settimane fa impressione. Se non ci fosse lui a Palazzo Chigi, verosimilmente oggi faremmo i conti con numeri diversi.

Il timore dello stesso premier in questa fase si chiama “re-pricing” del debito pubblico italiano. Pur esploso al 160% del PIL, gli investitori valutano relativamente bene i BTp, grazie al sostegno della BCE. Tra “quantitative easing” e PEPP, l’istituto inietta mensilmente sui 100 miliardi di euro di liquidità sui mercati, per la stragrande parte dedicata proprio agli acquisti di titoli di stato. E così, neppure un deficit al 12%, come quello atteso dall’Italia per quest’anno, fa paura più di tanto.

Taglio degli acquisti di bond non lontano?

Ma a Francoforte tira un’altra aria con l’arrivo dell’estate. I “falchi” stanno prendendo il sopravvento, man mano che i tassi d’inflazione stanno risalendo più velocemente delle previsioni nell’Eurozona. E con l’accelerazione delle campagne vaccinali nazionali, si prevede un graduale ritorno alla normalità da qui a pochi mesi. Ergo, strumenti eccezionali come il PEPP non avrebbero ragion d’essere. Anzi, si mostrano rischiosi con l’uscita dall’emergenza sanitaria ed economica.

Senza il PEPP, però, i rendimenti sovrani nel Sud Europa non sarebbero questi.

E se davvero al board del 10 giugno si avviasse il dibattito sul ritiro degli stimoli monetari, l’allarme spread scatterebbe quasi in automatico. Un taglio degli acquisti è ipotizzabile dopo l’estate, anche per mettere un po’ di pressione ai governi del Mediterraneo in sede di redazione dei bilanci per il 2022. La Bundesbank vuole fare capire a capitali come Roma, Madrid, ma anche Parigi, che il sostegno ottenuto in quest’ultimo anno è stato per l’appunto straordinario e non strutturale. I debiti sovrani non saranno monetizzati, almeno non indefinitamente.

Allarme spread in vista del prossimo board BCE

Questo significa per l’Italia disporre di poche settimane di tempo per segnalare ai mercati di essere capace di affrontare la graduale normalizzazione monetaria. Entro il prossimo board, dovrà tornare a riaprire pian piano e a potersi mostrare più prudente sui conti pubblici. La linea chiusurista va contrastata, in quanto non più sostenibile. D’altra parte, serve anche non commettere passi falsi rovinosi, come riaprire oggi per tornare a chiudere tra poche settimane. I mercati difficilmente ce lo perdonerebbero, tranne che la situazione sanitaria peggiorasse anche altrove, allontanando l’avvio del dibattito formale dentro la BCE sugli stimoli.

Ma basterà la semplice riapertura delle attività per sventare sul nascere l’allarme spread? Il tema non è banale. Draghi ha un senso a Palazzo Chigi per la sua capacità attesa di attuare riforme pro-crescita. Paradossalmente, proprio la fine dell’emergenza farà tornare centrale proprio quest’agenda, tra l’altro in vista delle erogazioni del Recovery Fund. A sua volta, però, la fine della pandemia segnerebbe anche quella la cessazione della relativa tregua politica a Roma. Difficile immaginare che Draghi possa realmente varare riforme che accontentino contemporaneamente PD, Movimento 5 Stelle, Lega e Forza Italia. Del resto, vietato fallire. Chi pensa che possiamo permetterci nuovi scostamenti di bilancio senza incorrere nella sanzione dei mercati, ha poco compreso la realtà che ci attende dopo l’estate.

[email protected]