La scorsa settimana, la conferenza stampa del premier Mario Draghi sulle riaperture con annesso “rischio calcolato” ha rappresentato una cesura nella sua azione di governo, pur ancora molto breve. Egli ha presentato un calendario graduale di allentamento delle restrizioni anti-Covid, per il momento nulla di clamoroso, ma già un passo verso il ritorno alla normalità. Il virologo Massimo Galli ha reagito furiosamente: “Draghi non ne ha azzeccata una. E’ un disastro”. La stessa stampa di sinistra e filo-grillina non l’ha presa per niente bene, sostenendo che finirà male.

Nel mirino dei detrattori delle riaperture vi è finito proprio il concetto di rischio calcolato. Si tratta di un ragionamento semplice, per quanto a molti inviso. Draghi ha affermato che nel consentire ad alcune attività di riaprire, pur tra limitazioni e mantenimento delle misure di sicurezza contro il Covid, è consapevole che vi saranno possibili effetti collaterali. Tuttavia, questi sono noti e verranno monitorati dal governo in fase di implementazione.

Il rischio calcolato di Draghi

Di cosa parliamo? Del possibile aumento dei contagi giornalieri e dello stesso numero dei morti. Apriti, cielo! “Draghi cede alla propaganda della destra”, “Draghi s’inchina alle piazze”, “Draghi non sa quello che fa”, “Draghi molla la scienza per accontentare la destra”. Queste sono alcune delle frasi che potrete trovare in giro nel web sui giornali o proferite in TV. Il torto del premier sarebbe stato di basare un suo ragionamento sulla classica analisi benefici-costi. C’è parte dell’Italia che non lavora da oltre un anno o che lavora a bassissimo regime. Sono le partite IVA, principalmente titolari di bar, ristoranti, palestre, piscine, teatri, albergatori, operatori dello spettacolo, musicisti, etc.

Queste categorie hanno pagato e continuano a pagare un prezzo straordinariamente elevato per via del Covid. Non è certo colpa di nessuno, ma chiedono almeno di ottenere congrui ristori per sopravvivere e un calendario certo per le future riaperture, in modo da potersi organizzare.

Il rischio calcolato di cui parla Draghi consiste proprio nel consentire loro di riprendere l’attività, conscio che ciò possa anche peggiorare parzialmente i numeri della pandemia. Certo, il governo non si spingerebbe mai fino a tollerare che i contagi e i decessi vadano fuori controllo e che le corsie degli ospedali tornino a riempirsi di infetti. Ma deve pur affrontare il rischio, perché l’alternativa sarebbe la morte economica di buona parte dell’Italia e, a catena, di quella solo in apparenza rimasta a galla.

Abbiamo detto, nulla di clamoroso. I ristoranti nelle zone gialle potranno riaprire anche per cena, ma solo se all’aperto. E sempre nel rispetto del coprifuoco delle ore 22. Le scuole dovranno impartire le lezioni solo in presenza, così come le palestre potranno riaprire agli allenamenti su prenotazione e mantenendo le distanze di sicurezza. Possibili anche i concerti, ma con limitazioni agli ingressi legate alla capienza massima e, comunque, fino a un massimo di 500 spettatori, tutti tenuti ad indossare la mascherina e a tenere le distanze. E così via. Nessuno dice che possiamo riaprire, pur parzialmente, a cuore leggero; tuttavia, non possiamo permetterci di non farlo.

Chi è il popolo delle chiusure

Lo stato non può continuare in eterno a pagare i ristori a debito. Ma c’è una parte dell’Italia che continua a non capirlo. E’ quella che è rimasta all’asciutto durante il temporale. Sono essenzialmente dipendenti pubblici e molti garantiti del posto fisso, i quali non comprendono che il rischio calcolato sia un concetto elementare e necessario per assicurare a loro stessi un futuro. Il gettito fiscale dipende dalla capacità della nostra economia di andare avanti. Senza, non ci sarebbero più soldi per mantenere servizi pubblici essenziali come la scuola e gli stessi dipendenti pubblici.

Coloro che in questi giorni inveiscono contro il rischio calcolato di Draghi non hanno grosso modo presente come funzioni un sistema economico.

Il popolo delle chiusure non è soltanto ideologicamente ottuso, ma spera di prendersi una rivincita contro quelle che considerano categorie nemiche di “privilegiati”. C’è quasi un senso di goduria in parte di quell’opinione pubblica avversa alle riaperture sempre e comunque. Essa è figlia di una frustrazione sociale diffusa, della mediocrità in cui da decenni naviga l’Italia, di una cultura solo dei diritti e mai del merito, contraria alla libera impresa o che vede in essa fonte di sfruttamento, evasione fiscale e ogni nefandezza.

Draghi si è ufficialmente messo di traverso a questo popolo, niente affatto così minoritario come crediamo. Se dopo 13 mesi dal primo “lockdown” non vi è stata ancora alcuna reazione avversa di massa alle restrizioni non è per spirito civico, notoriamente bassino in Italia. No, è questo senso di rivalsa sociale contro il mondo delle partite IVA a tenere coesa grossa parte dell’opinione pubblica. Essa trova conforto nell’assistenzialismo pur necessario di questa fase e crede che di riaperture potremo parlare solo quando contagi e decessi saranno azzerati stabilmente. Vorrebbe impedire a un cittadino di andare a mangiare una pizza fuori, pretendendo l’omologazione di consumi e costumi, come da classica impostazione dirigista. Forse, il rischio calcolato di Draghi non sconta la reazione virulenta di questa massa di cittadini votata alla delazione e che vede nei “lockdown” una forma innovativa di implementazione di quella lotta di classe perseguita culturalmente da decenni.

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