Sta per partire la stagione estiva. E, come ogni anno, al termine della stagione si tornerà a parlare di richiesta di Naspi per gli stagionali. Ma oggi è fondamentale fare attenzione ad alcuni aspetti molto importanti, perché le novità sulla Naspi non mancano.
L’applicazione delle nuove regole sulla Naspi 2025 sta limitando, per molti lavoratori, la possibilità di accedere alla disoccupazione dopo la stagione estiva. Vediamo quindi come funzionano i 3 mesi di limite per una nuova assunzione e in quali casi diventano determinanti per avere diritto alla Naspi.
Attenti alle nuove regole Naspi: gli stagionali che rischiano di restare senza disoccupazione INPS
Un tempo, le stagioni lavorative estive — quelle che, per intenderci, riguardano i lavoratori dei settori alberghiero, ristorativo e ricettivo — duravano diversi mesi: si iniziava tra fine aprile e inizio maggio, e si arrivava a fine settembre o addirittura a ottobre.
La disoccupazione successiva al lavoro stagionale poteva quindi essere piuttosto lunga, anche se limitata alla metà delle settimane lavorate. Infatti, la Naspi dura la metà delle settimane di contribuzione maturate nei quattro anni precedenti la perdita del lavoro. Tuttavia, per il lavoro stagionale, il calcolo si basa soprattutto sull’ultima stagione svolta, riducendo spesso la durata a pochi mesi.
Questo succede perché, per la tipologia di attività, i lavoratori sfruttano ogni anno i periodi maturati in precedenza. Se a questo già significativo limite si aggiunge il fatto che la stagione lavorativa estiva oggi dura spesso solo 3 mesi, la durata della Naspi si riduce ulteriormente. Ma non solo: proprio i 3 mesi di lavoro diventano oggi determinanti anche per il diritto stesso alla Naspi.
Vediamo perché.
Ecco le nuove stringenti regole che limitano la Naspi dopo la stagione lavorativa estiva
Una stagione lavorativa di 3 mesi è già di per sé breve, tanto da generare una Naspi molto ridotta, pari al massimo a un mese e mezzo. Ma attenzione: se la stagione lavorativa è inferiore ai 3 mesi, anche solo di un giorno, si rischia addirittura di perdere del tutto il diritto alla Naspi.
Per contrastare le pratiche scorrette che talvolta coinvolgono datori di lavoro e lavoratori, è stata introdotta una nuova norma. Questa stabilisce che, dopo dimissioni volontarie, se la nuova attività lavorativa ha una durata inferiore a 3 mesi, il lavoratore non ha diritto alla Naspi.
Come è noto, la Naspi non spetta in caso di dimissioni volontarie, poiché è prevista solo in caso di perdita involontaria del lavoro. Quindi è necessario che ci sia stato un licenziamento, oppure dimissioni per giusta causa o scadenza naturale di un contratto a termine.
In caso di licenziamento, il datore di lavoro è tenuto a versare il ticket licenziamento all’INPS, un contributo commisurato alla durata del rapporto che serve a finanziare la Naspi. Per evitare questo onere o per aggirare il vincolo delle dimissioni volontarie, molti lavoratori accettavano un nuovo contratto anche di brevissima durata, giusto per “rientrare nel sistema” e poter accedere comunque alla disoccupazione.
Questa strategia non è più possibile: con le nuove regole, un contratto inferiore a 3 mesi non basta più a riattivare il diritto alla Naspi.
Ecco un esempio pratico dei rischi che corrono adesso i lavoratori stagionali con la Naspi
Facciamo un esempio concreto: un lavoratore stagionale ha lavorato durante l’inverno, ad esempio in una località sciistica, e ha dato le dimissioni dal precedente impiego. Ora si trova nella situazione prevista dalla nuova limitazione normativa.
Se vuole ottenere la Naspi, la sua nuova esperienza lavorativa estiva deve durare almeno 3 mesi pieni. Se invece dovesse concludersi prima, anche solo per un giorno, l’INPS considererebbe ancora valide le dimissioni volontarie precedenti come causa ostativa alla fruizione della disoccupazione.
Il risultato? Oltre a rischiare una Naspi molto breve, il lavoratore potrebbe addirittura non avere diritto alla Naspi.
Ecco perché, nella stagione estiva in arrivo, è fondamentale prestare attenzione al tipo di contratto che si firma. In particolare, bisogna valutare con attenzione la durata del contratto offerto dalla struttura alberghiera, ricettiva o turistica. Per non trovarsi, alla fine dell’estate, senza lavoro e senza sussidio.